La Nuova Sardegna

Poliziotto di Bosa morto a Lecco: accuse ai soccorritori

di Roberto Petretto

L’inchiesta: un anno di indagini di squadra mobile e stradale Si ipotizzano presunti ritardi e carenze nell’intervento

16 gennaio 2018
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BOSA. I soccorsi che avrebbero dovuto salvare la vita a Francesco Pichedda, il poliziotto di Bosa che rimase ucciso per le conseguenze di una caduta da un cavalcavia al culmine dell’inseguimento di un ladro, furono approssimativi e confusi. È l’accusa contenuta in un dossier, frutto di una serie di accertamenti e verifiche fatte dalla polizia, consegnato alla Procura della Repubblica nell’ambito dell’inchiesta avviata dopo la tragedia.

Secondo l’indagine portata avanti dalla squadra mobile e dalla polizia stradale di Lecco ci furono dei ritardi nell’intervento e degli errori nell’invio dei mezzi di soccorso, frutto di una serie di fraintendimenti e difetti di comunicazione.

I colleghi dell’agente ucciso, secondo quanto riporta il quotidiano Il Giorno, hanno condotto una serie di indagini, raccolto testimonianze e acquisito le registrazioni dei dialoghi tra la centrale operativa e i mezzi di soccorso inviati sul luogo dell’incidente. Sarebbe emerso innanzitutto che l’ambulanza arrivò in ritardo, pare oltre un’ora dopo l’incidente. All’ospedale di Gravedona l’agente arrivò alle 22,20, due ore dopo la caduta. Ma non fu curato, bensì trasferito all’ospedale di Lecco, distante una sessantina di chilometri. A Lecco venne constatata la morte. Ora i fascicolo con i risultati delle indagini è nelle mani del sostituto procuratore Paolo Del Grosso.

Francesco Pischedda morì la sera del 2 febbraio del 2017. Durante un servizio di pattuglia gli agenti della polizia stradale di Bellano avevano intercettato, intorno alle 20, un camioncino lungo la Superstrada 36 nelle vicinanze di Colico. Gli agenti avevano intimato l'alt, ma il conducente del mezzo non si era fermato. Era così partito l’inseguimento, proseguito per diversi chilometri, fino a quando il camioncino aveva urtato la barriera e si era fermato al centro della carreggiata. Gli occupanti avevano iniziato una fuga a piedi, inseguiti da Francesco Pischedda che dopo alcuni metri era riuscito a raggiungerne e ad agguantarne uno. Ne era nata una colluttazione, proprio vicino al viadotto. Agente e fuggitivo avevano perso l'equilibrio e ed erano caduti da un’altezza di diversi metri. Erano stati soccorsi e trasportati all’ospedale. Era stata data la precedenza al fuggitivo, perché le sue condizioni erano state giudicate più gravi. Francesco Pischedda attese a lungo l’ambulanza e poi ci fu quella corsa tra un ospedale e l’altro. Una concatenazione di eventi che, secondo i colleghi dell’agente morto, nasconde delle precise responsabilità. Ora la parola passa al magistrato.

Francesco Pischedda era nato nel 1988 a Imperia, dove il padre Gianni, anche lui poliziotto, era in forze alla Polfer, prima di essere trasferito a Macomer. Tutta la sua gioventù l’aveva trascorsa a Bosa, dove vivono i genitori e dove anche dopo il trasloco in Lombardia tornava spesso, in estate e per le feste. Dal 2011 il poliziotto era in servizio a Bellano, in provincia di Lecco. Ad aprile la moglie di Francesco Pischedda ha ricevuto, dalle mani del presidente della Repubblica, la medaglia d’oro al valor civile, nel corso della cerimonia per i 165 anni dall'istituzione della Polizia.

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