La Nuova Sardegna

Alghero

La storia infinita di un ripetitore: sotto sequestro, anzi no, forse sì

La storia infinita di un ripetitore: sotto sequestro, anzi no, forse sì

In Cassazione l’inchiesta per un presunto abuso edilizio datato 2014. Ora l’impianto è operativo. Accolto ricorso della Procura: «Ordinanza del tribunale priva di coerenza». Ci sono cinque indagati

30 gennaio 2018
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ALGHERO. Sotto sequestro, anzi no, ma forse sì. E mentre la giustizia cambia idea il fascicolo, come una pedina del monopoli, torna alla casella del “via”. È la sintesi della complicata storia giudiziaria, cominciata con la posa della prima pietra, del piedistallo su cui poggia il ripetitore della Vodafone nella piazza del quartiere Sant’Agostino. Avviata nel 2014, l’opera è stata completata e l’impianto è entrato in funzione. Nei palazzi della giustizia, proseguono gli accertamenti sul rispetto delle norme urbanistica. Ora si scopre che, come rivela una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, le indagini dei carabinieri hanno portato alla iscrizione nel registro degli indagati di cinque persone. Si tratta di soci della società che ha realizzato l’opera per conto della compagnia di telecomunicazioni.

Accolto con grandi contestazioni, perché sospettato di difformità rispetto a quanto autorizzato dal Comune di Alghero, per di più in una zona sottoposta a vincolo di salvaguardia ambientale, il manufatto della discordia era stato sequestrato dal gip il 7 aprile scorso. Il 19 giugno, i giudici del tribunale della libertà avevano però ribaltato il provvedimento e accolto il ricorso degli indagati. Contro l’ordinanza ha presentato ricorso il procuratore della Repubblica di Sassari e i giudici della terza sezione penale della Suprema Corte gli hanno dato ragione. La storia del presunto abuso edilizio, peraltro in zona di salvaguardia ambientale, è stato rispedito da Roma a Sassari dove dovrà essere rivalutata da un altro collegio giudicante. La Cassazione ha bacchettato i giudici della libertà che hanno – si legge nella sentenza – scritto un provvedimento con una motivazione «priva di quei requisiti di coerenza e completezza». I giudici del tribunale avrebbero sposato in pieno le tesi difensive «totalmente ignorando quanto accertato in fase di indagini e richiamato nel provvedimento del giudice per le indagini preliminari».

Il tribunale si sarebbe limitato a richiamare i motivi illustrati dalla difesa senza specificarne i contenuti. Di più, basandosi su alcuni stralci di una annotazione dei carabinieri, i giudici della libertà avevano ritenuto venute meno le condizioni della misura del sequestro preventivo in quanto al momento del provvedimento l’opera era conforme alle progettazioni già presentate e autorizzate. Ed è anche per confutare questa parte della ordinanza che la Procura ha presentato ricorso in Cassazione. «Il tribunale – concorda la Cassazione – non spiega come tale generica affermazione da parte della polizia giudiziaria abbia consentito di ritenere superate le condizioni poste dal Gip alla base della misura cautelare e gli esiti delle indagini precedenti».

Verifiche che adesso dovranno essere fatte da un altro collegio, al quale i giudici della Cassazione hanno rinviato il caso perché lo riesamini.(d.s.)

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