La Nuova Sardegna

Alghero

Una fiaccolata per riavere la propria casa

Gian Mario Sias
Una fiaccolata per riavere la propria casa

A un anno dal rogo gli abitanti del condominio di Alghero distrutto restano senza alloggio. Il vescovo: «Chi può deve fare qualcosa»

20 luglio 2018
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ALGHERO. «Mi appello a tutti coloro che possono. Perché se possono, devono». Di fronte alla carcassa annerita del palazzo di via Vittorio Emanuele andato a fuoco un anno fa, il vescovo di Alghero-Bosa, Mauro Maria Morfino, richiama tutti al proprio dovere. «Non spetta a nessuno di noi dire perché e per come dopo 365 giorni siamo ancora al punto di partenza – dice – ma se qualcuno ha la possibilità di fare qualcosa, occorre appellarsi alla sua responsabilità, senza deleghe e tentennamenti».

Anche perché «si tratta di dare una risposta non a un capriccio – aggiunge – ma al diritto alla propria casa per persone che stanno pagando un affitto per stare altrove, e magari pagano ancora un mutuo per questa abitazione». Le sue sono parole nette. Loro, gli inquilini, dopo un anno non sanno più a chi invocarsi. E allora pregano. Una messa, una processione, una fiaccolata, i canti. Qualche lacrima. Tanta rabbia. Tantissima tristezza.

Due giorni fa gli abitanti del palazzo in fondo a via Vittorio Emanuele hanno celebrato il primo anniversario di quel rogo spaventoso che ha spezzato a metà le loro esistenze. Per tutti c’è un prima e un poi, e in mezzo quella notte tra il 18 e il 19 luglio dello scorso anno, quando l’enorme condominio tra via Vittorio Emanuele, via Barraccu, via Mazzini e via Botticelli è andato in fiamme. Certo, poteva essere una strage e non lo è stata. Quella lava che si autoalimentava nelle viscere del palazzo e trasformava il deposito del primo sottopiano in una fornace poteva provocare un disastro. Non è morto nessuno, ma questa è l’unica consolazione. Per il resto, oltre 150 residenti del palazzo a quattro torri, al cui pian terreno trovava posto il centro commerciale Risparmio Casa, dai cui depositi è scaturito l’incendio, non hanno alcun motivo per festeggiare questa ricorrenza. Ma ci sono tutti: non vogliono dimenticare o far sì che si possano dimenticare di loro gli algheresi – la cui solidarietà è stata preziosa in tutti questi mesi – e le istituzioni. Non protestano, non gridano, non si sentono abbandonati, ma scoprire giorno dopo giorno che i tempi per la messa in sicurezza delle loro case potrebbe slittare sino all’anno prossimo, che ci vorrà tanto prima di impossessarsi di nuovo della loro normalità, è un peso enorme. Mercoledì sera si sono incontrati per darsi forza e per pregare. Il loro unico appello, affidato alla lettura di uno dei condomini, è rivolto al cielo. «Il 18 luglio di un anno fa le nostre famiglie hanno perso il luogo più caro dei loro affetti», dicono. «Guardare il palazzo ancora così fa scaturire tanti interrogativi», è la riflessione. «Quell’incendio poteva essere evitato?», chiedono. E ancora, «perché dopo un anno niente è cambiato?», domandano. «Forse non troveremo mai la risposta», è l’umana conclusione. Ma qui interviene la fede. «Abbiamo la certezza di essere stati guardati dai tuoi occhi di padre, che non abbandona i suoi figli», è l’invocazione rivolta al Signore, mentre le fiammelle illuminano la facciata di quel palazzo devastato proprio come un anno fa. «Abbiamo sentito il tuo sguardo attraverso il tanto affetto e la comprensione che abbiamo incontrato – prosegue la loro preghiera – e attraverso il sostegno lungo l’iter burocratico». Gli inquilini del palazzo incendiato sanno da dove deriva la loro «forza di saper affrontare le grandi difficoltà incontrate quest’anno», e per questo alzano lo sguardo al cielo, tra lacrime e facce tristi, e chiedono solo una cosa. «Continua a starci vicino – concludono – fai che ognuno di noi possa riabitare la propria casa, quell’unico luogo che da serenità alle famiglie».

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