La Nuova Sardegna

Alghero

Uccise il marito violento, condannata

Uccise il marito violento, condannata

La donna subì a lungo violenze e torture. La Cassazione conferma sei anni

24 ottobre 2018
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ALGHERO. Confermata dalla Cassazione la condanna con rito abbreviato per omicidio volontario a sei anni, due mesi e venti giorni di reclusione per Roberta Gasparini, la donna che – dopo anni di violenze di tutti i tipi – uccise a coltellate il marito Pietro Girardi, il 10 settembre 2014 nella loro casa a Ungias-Galatè, nella campagna di Alghero, dove la coppia residente nel Varesotto passava l’estate. Dalle indagini era emerso che la donna «aveva subito per lungo tempo violenze fisiche e psicologiche, privazioni, sopraffazioni, percosse, ingiurie, minacce di morte oltre che punizioni corporali» e «costrizione a rapporti sessuali videoripresi con soggetti estranei». Il menage familiare era diventato un incubo nel quale Roberta era sottoposta «a un controllo violento e asfissiante da parte della vittima per ogni aspetto della vita quotidiana, a ogni genere di umiliazioni sia pubbliche che private, sino a essere ridotta in uno stato di tale sudditanza psicologica da non poter pensare a una separazione per il timore di ritorsioni contro di lei o contro sua figlia». Il marito arrivò anche a cospargerla di benzina e appiccarle fuoco agli organi genitali. Il giorno dell’omicidio, Roberta disse ai carabinieri che si era decisa a ucciderlo perché il marito le aveva detto che al risveglio dal “sonnellino” pomeridiano avrebbe ucciso prima la figlia e poi lei. In primo grado il Gup di Sassari, nel 2016, la condannò a sette anni per omicidio aggravato. Il giudice respinse la tesi della legittima difesa: poteva «fuggire indisturbata». Davanti alla corte d’appello, gli avvocati dell’imputata chiesero la legittima difesa, e il ricalcolo delle circostanze, invocando l’applicazione della attenuante di aver agito per motivi di elevato valore morale. Ma, con la sentenza del 15 maggio 2017, ottenne solo la diminuzione di pena massima per le circostanze attenuanti generiche e la condanna scese a sei anni, due mesi e venti giorni.

Ad avviso della Cassazione (sentenza 48291), correttamente «è stato escluso che il ricorso ad una brutale violenza fisica, in assenza dei presupposti di una legittima difesa, possa considerarsi come una risposta adeguata alla violenza endofamiliare, pena il legittimarsi di una giustizia privata che l’ordinamento riconosce entro limiti strettissimi: l’omicidio era stato efferato e uno stato d’animo turbato non poteva ritenersi equivalente ad un motivo di elevato valore morale e sociale».

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