La Nuova Sardegna

Cagliari

Piombo romano trovato nel mare di Cabras ai fisici del Gran Sasso per studiare le origini dell'universo

La conferenza stampa al museo archeologico (foto Mario Rosas)
La conferenza stampa al museo archeologico (foto Mario Rosas)

Cerimonia al museo archeologico per consegnare i pezzi rinvenuti nella nave affondata davanti all'isola di Mal di Ventre: per la loro caratteristica di essere privi di radioattività entrano nell'esperimento internazionale "Cuore" cui lavorano 157 scienziati, alcuni premiati col Nobel nel 2015

18 gennaio 2016
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CAGLIARI. Parte oggi da Cagliari l’ultimo viaggio di 30 lingotti di piombo dell’antica Roma - dalle caratteristiche uniche ed eccezionali - verso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Dopo duemila anni passati in fondo al mare, nella stiva di una nave romana affondata al largo delle coste della Sardegna, la loro nuova casa sarà il ventre di una montagna, sotto i 1400 metri di roccia della catena appenninica.

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La cerimonia di consegna del piombo romano - frutto di un accordo tra l’INFN, che ha finanziato i lavori di scavo del relitto e il recupero del suo carico, e la Soprintendenza Archeologia della Sardegna, con il parere favorevole del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) - si svolge oggi presso il museo archeologico nazionale di Cagliari. All’incontro intervengono il presidente dell’INFN Fernando Ferroni, il consigliere del presidente della Regione Autonoma della Sardegna Gianluca Serra, il soprintendente archeologico della Sardegna Marco Edoardo Minoja, il rettore dell’Università di Sassari Massimo Carpinelli, il direttore dei LNGS Stefano Ragazzi, il direttore della sezione INFN di Cagliari Alberto Masoni ed Ettore Fiorini, ideatore e realizzatore del progetto «Piombo romano» per l’esperimento Cuore (Cryogenic Underground Observatory for Rare Events), presso i LNGS, per lo studio dei neutrini.

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«L’utilizzo dei lingotti di piombo romano rappresenta un caso esemplare di collaborazione tra le Istituzioni, finalizzata a valorizzare il patrimonio archeologico nazionale e la ricerca scientifica di frontiera, come quella sulla fisica dei neutrini, premiata nel 2015 con il Nobel», spiega Fernando Ferroni, presidente dell’INFN. Il progetto di recupero dei lingotti sommersi è il risultato di una cooperazione tra l’INFN, la Soprintendenza Archeologia della Sardegna, e le Università di Cagliari e Milano Bicocca. Successivamente, la collaborazione tra l’INFN e le Università di Cagliari, Sassari e Milano Bicocca ha permesso di condurre accurate misure per stabilire la composizione chimica dei lingotti. «Grazie alla dotazione di strumenti di altissima tecnologia ai LNGS, è stato possibile effettuare analisi archeometriche con il metodo dei rapporti isotopici, identificando la miniera romana di Sierra de Cartagena, da cui circa duemila anni fa il piombo è stato estratto. Nei prossimi mesi sarà possibile svolgere studi più approfonditi», afferma Stefano Ragazzi, direttore dei LNGS.

«Cuore» è un esperimento - frutto di una collaborazione internazionale formata da circa 157 scienziati, provenienti da 30 Istituzioni in Italia, Usa, Cina, Spagna e Francia - ideato per studiare le proprietà dei neutrini e, in particolare, un fenomeno estremamente raro, chiamato doppio decadimento beta senza emissione di neutrini. Questo processo non è mai stato osservato finora, e per riuscirci i fisici hanno bisogno di condizioni ambientali di estrema purezza, in particolare di bassissima radioattività.

Nasce da qui l’idea - proposta da Ettore Fiorini, portata avanti dall’Università e dalla sezione INFN di Milano Bicocca, e la cui realizzazione è stata seguita in tutti i suoi passaggi dai LNGS - di dotare Cuore di uno speciale «scudo», realizzato grazie alla fusione della parte inferiore dei lingotti di piombo. L’accordo tra l’INFN e la Soprintendenza Archeologia della Sardegna prevede la possibilità di utilizzare i 30 lingotti, dal peso complessivo di quasi una tonnellata, preservandone ogni caratteristica di carattere archeologico, per ricerche di archeometria, come suggerito dall’Unesco.

Si tratta di materiale totalmente privo di contaminazione radioattiva, sottolinea Ettore Fiorini, fisico dell’Università di Milano Bicocca e ideatore dell’esperimento Cuore, «il piombo moderno contiene, infatti, una debole contaminazione radioattiva dovuta al suo isotopo 210, che si dimezza in circa ventidue anni. Da qui l’idea di utilizzare il piombo della nave romana che, essendo stato prodotto duemila anni fa, non contiene più isotopi radioattivi». 

Del prezioso carico romano gli archeologi sono riusciti a ricostruire la provenienza. Ogni lingotto di piombo ha, infatti, incisi i marchi di fabbrica, come «Caius e Marcus Pontilieni, figli di Marcus», «Quintus Appius, figlio di Caius», e «Carulius Hispalius. Si tratta di famiglie di origine italiana che svolgevano attività mineraria in Spagna. L’imbarcazione venne rinvenuta per caso attorno al 1990 da un sommozzatore dilettante al largo della costa di Oristano, davanti all’isola Mal di Ventre, nel territorio del comune di Cabras, a un miglio o poco più dalla riva.

Si tratta di una navis oneraria magna, un’imbarcazione romana di 36 metri che, oltre duemila anni fa, tra l’80 e il 50 avanti Cristo, trasportava circa duemila lingotti di piombo, solo la metà dei quali recuperata. La nave proveniva dalla miniera di Sierra di Cartagena, nell’attuale Spagna, ed era probabilmente diretta a Roma. Secondo gli archeologi, era specializzata nel trasporto di piombo e la nave sarebbe stata fatta affondare dallo stesso comandante per evitare che il prezioso carico finisse in mani nemiche.

Ogni lingotto di piombo è lungo 46 centimetri e alto nove, e ha un peso di circa 33 kg. In epoca romana il piombo era un sottoprodotto dell’estrazione dell’argento, e rappresentava un mercato importantissimo per i suoi molteplici impieghi, sia militari che civili.

L’esperimento Cuore presso i LNGS è stato realizzato per scoprire un fenomeno fisico rarissimo, detto doppio decadimento beta senza emissione di neutrini. Si tratta di un processo in base al quale, all’interno di un nucleo, due neutroni si trasformano in due protoni, emettendo due elettroni e due antineutrini. Nel doppio decadimento beta senza emissione di neutrini non vi è, appunto, emissione di neutrini, poiché uno degli antineutrini si è trasformato in neutrino. Il Modello Standard prevede che i neutrini siano esclusi da questa trasformazione. Ma se, come ipotizzato negli anni ’30 del secolo scorso dal fisico catanese Ettore Majorana, i neutrini e gli antineutrini fossero due manifestazioni della stessa particella, come le due facce di una stessa medaglia, la transizione tra materia e antimateria risulterebbe allora possibile.

Questo fenomeno, seppur attualmente raro, potrebbe essere stato frequente nell’universo primordiale immediatamente dopo il Big Bang, e avere determinato la prevalenza della materia sull’antimateria.

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