La Nuova Sardegna

Cagliari

Carloforte, delfino attaccato dagli squali trovato sugli scogli

Simone Repetto
Carloforte, delfino attaccato dagli squali trovato sugli scogli

Appartiene a una specie non comune nel Mediterraneo. L'istituto Zooprofilattico eseguirà l'autopsia per stabilire le esatte cause della morte

04 febbraio 2018
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CARLOFORTE. La carcassa di un delfino attaccato dagli squali è stata ritrovata ieri sulla spiaggia della Caletta, all’isola di San Pietro. Il delfino appartiene alla specie Delphinus delphis, non comune nel Mediterraneo, dove prevalgono il tursiope e la stenella striata. L’animale è stato attaccato dagli squali, un caso eccezionale nelle acque nostrane, che ha subito attirato l’attenzione del Centro recupero cetacei e tartarughe marine di Nora. Ieri il mare agitato ha spinto il delfino sugli scogli.

«Si tratta di un maschio adulto di 193 centimetri e circa un quintale di peso ancora in ottime condizioni – hanno detto i biologi Giuseppe Ollano e Giovanni Lenti – Segno che il decesso è avvenuto entro le 24 ore». Il delfino è stato attaccato dagli squali al capo.

«Certamente si è trattato di un’aggressione fatta dagli squali. Non possiamo escludere che l’attacco sia avvenuto quando l’animale era ancora vivo. Solo dopo l’autopsia, che sarà eseguita nell’istituto zooprofilattico di Sassari, potremo dire quali fossero le condizioni di salute del delfino e cosa sia accaduto».

I segni dei morsi sull’animale, di ampie dimensioni, fanno pensare all’attacco di uno squalo mako, un giovane squalo bianco o un altro squalo pelagico, che magari si muove in branco. Resta da capire come mai una specie di mare aperto e gregaria come il delfino comune sia arrivata sottocosta. Dovrebbe trattarsi del secondo spiaggiamento in Sardegna, dopo quello del 1993 a Bosa, mentre solo sporadicamente è stato avvistato in branchi in acque sarde. Un episodio simile un anno fa, nel vicino litorale di Gonnesa, quando due esemplari di stenella si spiaggiarono, anche loro dopo esser stati aggrediti dagli squali. Secondo i biologi, che cercano risposte ad un fenomeno del tutto inedito, si tratta comunque di un segno di buona salute delle acque sulcitane, dove pare funzionare la catena alimentare marina fino ai suoi vertici.

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