La Nuova Sardegna

Cagliari

Cercasi sinistra con un pensiero coerente

Salvatore Mura
Cercasi sinistra con un pensiero coerente

Anche in Sardegna si è affidata al mercato e ha scimmiottato politiche storicamente di destra: deve ritrovare un'identità, un'orizzonte di senso condiviso

23 aprile 2018
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La Sardegna è investita da tensioni crescenti che non sembrano destinate a placarsi in tempi brevi. Accanto ai problemi tradizionali - disoccupazione, trasporti, spopolamento delle zone interne - negli ultimi anni si è ulteriormente aggravata la debolezza della classe politica regionale. Le distanze tra rappresentanti e rappresentati sono aumentate: la tendenza tipica della legislatura in corso, che ha portato al ridimensionamento dell'assessore-politico a favore dell'assessore-professore e/o tecnico, non ha prodotto i benefici che si attendevano. La Regione ha smesso di essere una guida politica, ma ancora non è riuscita a essere uno strumento capace di migliorare sensibilmente i servizi e le condizioni di vita della popolazione. Dobbiamo riconoscere, tuttavia, che le cause di questa situazione sono molteplici.

La crisi della classe politica regionale ha radici profonde. Almeno dai primi anni Novanta si è cercata un'alternativa al politico di professione, che aveva un rapporto privilegiato con l'elettorato e diverse esperienze amministrative alle spalle. Accusato durante la stagione del "politico-imprenditore" (quella berlusconiana, per intenderci) di essere un fannullone e di arricchirsi immeritatamente, non gode di un'opinione pubblica favorevole oggi che il grillismo propone il "politico-normale cittadino" come riferimento supremo. Ma è lecito nutrire qualche dubbio che quest'ultima possa essere la soluzione per restituire credibilità alla classe politica sarda, per rafforzare le istituzioni e per avere le risposte alle forti domande socio-economiche che la società chiede con sempre più insistenza.

Negli ultimi vent'anni, in realtà, ci sono stati rinnovamenti: il centro-sinistra ha portato al vertice della Regione due personalità della "società civile" e i "tecnici" alla guida degli assessorati non sono stati una minoranza trascurabile. La soddisfazione degli elettori nei confronti dei governanti, però, non è cresciuta. Il declino non si è fermato. La politica è diventata, ancor più di prima, un bersaglio. Il qualunquismo ha conquistato nuovi spazi. Un'immagine, su tutte, ha prevalso: quella di una classe politica litigiosa e autoreferenziale, non sufficientemente consapevole dei problemi concreti dei giovani, delle famiglie e delle imprese. La crisi economica globale ha avuto il suo peso, e complicato il lavoro, ma molto dipende anche dalla cultura politica che ha dominato. Chiuso il secolo in cui la cultura cattolica e quella social-comunista avevano occupato quasi tutto il campo, il pensiero liberista ha riconquistato terreno e il centro-sinistra sardo, in linea con quello nazionale, ne è stato profondamente influenzato. È mancata la sinistra che combatte le diseguaglianze e i privilegi, che cerca una politica fiscale redistributiva, che denuncia i limiti del libero mercato e della globalizzazione, che propone l'intervento pubblico nell'economia, che sta vicino ai giovani.

Anche il centro-sinistra sardo si è affidato al mercato e ha scimmiottato politiche storicamente di destra: restrizioni della spesa pubblica, agevolazioni alle imprese, ridimensionamento degli enti intermedi. Ne è risultato una sorta di "liberismo di sinistra" che ha confuso e deluso una parte significativa dell'elettorato. Ora alla generazione dei quarantenni, che timidamente anche da noi bussa alla porta, spetta una sfida estremamente difficile. Se la destra potrebbe ancora insistere con la sua visione neoliberista, la sinistra ha la necessità di ripensarsi, di costruire una nuova base identitaria, un nuovo orizzonte di senso condiviso, un nuovo insieme di politiche coerenti, una nuova idea di sviluppo della Sardegna (sperando che nel frattempo affiori una nuova teoria socioeconomica capace di supportarla). Per riconquistare la fiducia nei cittadini, insomma, dubito fortemente che sia sufficiente cambiare le donne e gli uomini, se non cambia anche la cultura politica (e naturalmente dovranno cambiare anche certi comportamenti).

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