La Nuova Sardegna

Tensione in medioriente

Iran-Israele, cosa c’è dietro all’attacco di sabato 13 aprile: il raid a Damasco, le vittime “illustri” e la promessa di guerra


	L'attacco del 1 aprile a Damasco 
L'attacco del 1 aprile a Damasco 

L’offensiva iraniana, la mediazione dell’occidente che sembra aver fallito e lo scenario internazionale: il punto della situazione

13 aprile 2024
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La “promessa” di guerra era nell’aria da giorni. E alle parole si sono sostituiti velocemente i fatti. Nella serata di sabato 13 aprile l’Iran ha sferrato l’attacco contro Israele. Il primo atto dell’offensiva è rappresentato dalle centinaia di droni e decine di missili dall’Iran sul territorio di Israele verso obiettivi militari e governativi. Non si tratta di una mossa improvvisa, ma del realizzarsi di uno scenario che ribolle da tempo. E che si è fatto particolarmente prevedibile dal 1 aprile. Ma cosa è successo nei primi 13 giorni di aprile? E quali sono gli ultimi episodi che avrebbero portato all’offensiva Iraniana? Andiamo con ordine. 

L’attacco all’ambasciata

Il 1 aprile 2024 è stata attaccata l’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria. L’attacco è stato da subito ampiamente attribuito a Israele, anche in assenza di un’assunzione ufficiale di responsabilità. Il raid ha provocato la morte del generale Mohammad Reza Zahedi,  e ha mostrato caratteristiche diverse rispetto agli attacchi che Israele – spesso non ufficialmente, quindi senza vere e proprie rivendicazioni –  compie ormai da anni in territorio siriano. Solitamente le incursioni in Siria delle Forze di difesa israeliane (Idf) prendono di mira depositi di armi e infrastrutture della rete di gruppi e milizie filo-iraniane, ma nel caso del 1 aprile è stata colpita la sede diplomatica ufficiale di un Paese membro delle Nazioni Unite, in una chiara violazione del diritto consuetudinario internazionale, che vede ambasciate e consolati come luoghi “inviolabili”. Ma c’è di più. Perché l’attacco del 1 aprile è stato compiuto a danno di un Paese ufficialmente non belligerante nel territorio di un altro paese non belligerante. Quasi un atto di “sfida” all’Iran, che ha subito lasciato intendere – anche in modo abbastanza chiaro – che avrebbe organizzato una risposta di fuoco. 

Vittime "illustri”

Nell’attacco del 1 aprile in Siria sono rimasti uccisi il generale di brigata Mohammad Reza Zahedi, alto comandante della forza Quds del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (Irgc) e il suo vice, il generale Mohammad Hadi Hajriahimi. Zahedi era considerato una delle principali risorse dell’Iran nell’area mediorientale in quanto responsabile operativo e logistico in Siria e Libano e uomo di collegamento col partito-milizia libanese Hezbollah per la fornitura di armi iraniane. Zahedi rappresenta inoltre l’ufficiale di grado più alto dell’Irgc a essere stato ucciso da gennaio 2020, quando a essere eliminato fu il generale e leader della forza Quds, Qassem Soleimani, colpito da un raid statunitense in Iraq. 

Promessa di guerra

Giovedì 11 aprile – quindi due giorni prima dell’attacco iraniano a Israele – l’analista israeliano Raz Zimmt, ricercatore dell’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale (Inss) dell'Università di Tel Aviv, aveva spiegato bene in un’intervista all’agenzia Adnkronos, quanto l’attacco all’ambasciata dell’Iran in Siria del 1 aprile abbia rappresentato un’affronto pericoloso nei confronti degli iraniani. «L’Iran è determinato a reagire», aveva detto Zimmt. «Ora non si tratta più di se, ma di come lo farà. Un attacco dall’interno dell’Iran contro l’interno del territorio israeliano provocherà una escalation molto pericolosa», con una «spirale di violenza», che rischia di «andare fuori controllo». Nella stessa intervista, l’analista Israeliano aveva detto: «Lo scenario è ancora tutto aperto. Gli Stati Uniti hanno inviato messaggi all’Iran in modo da cercare di evitare che abbia una reazione e che quindi venga evitata una escalation». Stando alle parole dell’analista israeliano, dunque, gli Stati Uniti avrebbero cercato di scongiurare l’attacco dell’Iran, evidentemente non riuscendoci. Zimmt aveva sottolineato inoltre che «anche l'Europa sta cercando una de-escalation», citando la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock che avrebbe dialogato al telefono – giovedì 11 aprile –  con il capo della diplomazia iraniana Hossein Amir-Abdollahian. «Ma non sono sicuro che sia sufficiente», aveva avvertito l’analista. 

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