La Nuova Sardegna

Nuoro

Il pm: omicidio Chessa legato alla faida

di Valeria Gianoglio
Il pm: omicidio Chessa legato alla faida

Assassinio del muratore nel 2005, i testimoni: «Non sappiamo nulla, ormai sono passati tanti anni dai fatti»

18 febbraio 2016
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NUORO. «Continuiamo a non capire la pertinenza della testimonianza di Felicina Coccone, in relazione a questo processo, per l’omicidio di Francesco Chessa», insiste l’avvocato Gianluigi Mastio. «Ve lo dico subito – chiarisce il pm Andrea Vacca – riteniamo che questo omicidio sia stato commesso all’interno della faida di Orune, e di questo vogliamo chiedere alla signora Coccone». Dopo qualche udienza nella quale, il nome “faida” aleggia in aula come uno spettro, nella tappa di ieri in corte d’assise quel termine entra invece in modo esplicito, diretto e potente.

Il pubblico ministero, sollecitato dalla difesa, lo dice in modo chiaro che a parere dell’accusa, le sei fucilate che il 18 maggio del 2005 avevano straziato sull’uscio di casa il corpo di Francesco Chessa, noto Cisco, arrivavano da una direzione precisa: quella che portava alla faida che dal ’77 aveva insanguinato Orune. E per capire come questa scia tragica di odio e morti sia arrivata all’omicidio Chessa e al rinvio a giudizio dell’attuale imputato, Sergio Taioli, di Sorgono, il pm ritiene necessario porre qualche domanda anche alla teste Felicina Coccone.

Un’ottantina di anni, sguardo fiero, sorella del più noto Carmelino, l’anziana orunese era finita a processo all’inizio degli anni Novanta, insieme ad altri imputati, per l’omicidio del compaesano Bastiano Malune, ucciso in paese il 26 novembre dell’89. «Sono stata assolta per non aver commesso il fatto», ricorda lei stessa, dopo essersi seduta sulla sedia riservata ai testi in corte d’assise. «Sì, signora Coccone – gli dice il pm Vacca – lo sappiamo che è stata assolta ma le voglio chiedere conto di un passo di una intercettazione che poi è confluita al processo per l’omicidio Malune. In questa intercettazione si sente lei, signora Coccone, che dice che sa chi ha preso le armi per uccidere “zio Pallo” (Pietro Paolo Deiana, ndr). Lei allora lo sa, signora Coccone, chi ha preso le armi per uccidere zio Pallo?». Felicina Coccone non si scompone. «Non ricordo – dice – sono passati tanti anni. A me non me lo chieda perché non ricordo nulla. Quando andavo a trovare mio fratello in carcere, gli dicevo solo tutti i pettegolezzi che sentivo in paese. Cose vere e cose che poi si scoprivano non vere».

Non sa nulla, dunque, Felicina Coccone, della faida del paese. Né, del resto, sanno nulla neppure i suoi compaesani che prima di lei, ieri mattina si sono seduti nell’aula della corte d’assise per deporre come testi. Il pubblico ministero, Andrea Vacca, ci prova in tutti i modi, a chiedere loro conto di quella scia di sangue, e in particolare dei legami di parentela e delle fazioni in campo, ma dai testi non arriva niente di niente. Zero assoluto.

Né, decisive, si rivelano le deposizioni dei paesani di Chessa con i quali quest’ultimo aveva trascorso le sue ultime ore di vita, giocando a carte in un bar di Orune. «Cisco veniva spesso al mio bar, il bar Campana – racconta in aula Filippo Campana – veniva quando finiva di lavorare, alle volte alle 21, alle volte più tardi. Anche quella sera è venuto e ha fatto qualche partita a carte con alcuni amici. Poi è andato via intorno alle 22.15». «Quella sera – conferma anche un altro cliente del bar, Giuseppe Chessa – abbiamo giocato insieme a carte. Io me ne stavo andando dal bar intorno alle 20, ma lui mi fermò e mi disse “La facciamo una partita o me ne rientro?” Così abbiamo giocato». Sia Goddi, sia gli altri compagni di partita a carte di Chessa, come Giuseppe Ruiu, quella sera, rispondendo al pm ripetono anche che Cisco, «era tranquillo, ed è uscito dal bar tranquillo». «Lo avete mai visto giocare a carte con Pietro Coccone?», ha domandato a quasi tutti i testi, il pm. Ma la risposta è sempre stata «No».

«Che lei sappia i Chessa-Zulleddu sono stati coinvolti nelle dinamiche della faida?», chiede il pm al teste Bachisio Pala, cugino della vittima. «No», risponde laconico Pala.

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