La Nuova Sardegna

Nuoro

Pecore nere a Ottana, è un mistero: scontro tra i consulenti

Pecore nere a Ottana, è un mistero: scontro tra i consulenti

Nuova udienza del processo a carico del patron di Ottana Energia Paolo Clivati. Contrastanti le conclusioni dei tecnici. Il giudice nominerà un super perito?

11 novembre 2016
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NUORO. Resta ancora un mistero la causa del boato che la sera del 14 ottobre 2013 fece tremare i vetri delle case di Ottana. Il giorno dopo il paese si risvegliò sotto una nube nera: una polvere oleosa aveva ricoperto i poderi, i casolari e le greggi, a pochi chilometri dalle ciminiere della centrale elettrica. Tutto nero: nere le pecore, neri i cani, neri gli alberi e le foglie. «Un inferno», hanno ripetuto più volte in aula gli allevatori. Ieri, al processo che vede imputati il patron di Ottana Energia Paolo Clivati e il direttore dell’impianto Mario Tatti, c’è stato il confronto tra i consulenti del pubblico ministero Andrea Vacca e quelli nominati dalla difesa, gli avvocati Marcello Mereu e Basilio Brodu. Un confronto richiesto dal giudice monocratico Tommaso Bellei per mettere alcuni punti fermi nella vicenda. Un’udienza, quella di ieri, movimentata dal battibecco tra i consulenti che sono giunti a conclusioni diametralmente opposte. Per questo il giudice, al termine del confronto, ha rinviato l’udienza al 1° dicembre per decidere se nominare un super-perito al quale chiedere lumi.

La pioggia nera. I consulenti si sono concentrati innanziutto sull’analisi dei campioni di polvere nera prelevati dall’Arpas. Per il pool dell’accusa (del quale fa parte anche Roberto Monguzzi, il chimico che si è occupato anche delle emissioni inquinanti dell’Ilva di Taranto) quei residui sono particelle di carbone liquido, il Cwf, per la cui sperimentazione Ottana Energia era in attesa di un’autorizzazione. Per la Procura, quella sera, nella centrale di Ottana si sarebbe verificata l’esplosione in una caldaia a causa della sperimentazione di una nuova linea di produzione alimentata da una miscela a base di carbone e acqua ( il Cwf, appunto). I fumi neri causati dall’esplosione, una volta usciti dal camino, si sarebbero posati su una fascia di terreni tra Ottana e Noragugume, sospinti dal forte vento di grecale che soffiava quella notte. Una tesi, questa, contrastata dai consulenti della difesa che non solo hanno negato la possibilità di un’esplosione nella centrale («Sarebbe saltata in aria tutta Ottana») ma hanno sostenuto anche l’impossibilità di stabilire se la polvere nera che quella notte ha ricoperto le campagne sia un residuo di carbone, il Cwf, oppure di Bvz, l’olio combustile utilizzato e autorizzato nella centrale.

L’esplosione. Come hanno ricostruito ieri in aula i consulenti del pm, quella sera, intorno alle 23.30, in una delle due caldaie della centrale si verifica una microesplosione causata dall’immissione di una gran quantità di combustibile. Per l’accusa, si tratta della miscela a base di carbone. Le pareti dell’impianto tremano e il boato si sente anche in paese. Poi i fumi neri, usciti dalla ciminiera, si depositano sulle campagne tra Ottana e Noragugume, trasportati dal vento. «Se si fosse verificata un’esplosione nella caldaia, come sostengono i tecnici dell’accusa, tutta la centrale sarebbe venuta giù», hanno replicato i consulenti della difesa. E il boato udito in paese? «È il suono di quando entra in funzione la valvola di sicurezza, il dispositivo che regola la pressione del vapore».

La manutenzione. Per la difesa, Ottana Energia ha proceduto regolarmente alla manutenzione dell’impianto mentre, per l’accusa, si sarebbe limitata a operazioni di routine. In particolare, ha sostenuto la difesa, «la caldaia in cui si sarebbe verificata l’esplosione era stata pulita due mesi prima. Non c’erano residui e incorostazioni, come sostiene l’accusa».

L’inquinamento atmosferico. Battaglia anche sul rispetto dei limiti di emissione delle polveri nell’aria. La sera del 14 ottobre, ha ricordato il giudice, il sistema di monitoraggio dell’impianto ha registrato dei picchi «che sono rientrati subito nella norma», ha precisato la difesa. I consulenti dell’accusa non hanno invece potuto verificare se i valori delle emissioni registrati la notte dell'esplosione siano stati superiori ai limiti imposti dalla legge perché «il sistema di monitoraggio, quella sera, era andato in tilt». ( g.z.)

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