La Nuova Sardegna

Nuoro

Il Centro di accoglienza detenuti chiude per un errore burocratico

di Stefania Vatieri
Il Centro di accoglienza detenuti chiude per un errore burocratico

Dopo dieci anni di attività la struttura della parrocchia Beata Maria Gabriella resta senza fondi Don Borrotzu: «Dopo le vane richieste di aiuto alla Regione siamo costretti a cessare tutte le attività»

24 aprile 2018
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NUORO. Esiste dal 2009, ma adesso rischia di chiudere. È il Centro di accoglienza sociale per il recupero dei detenuti “Ut unum sint” gestito dalla cooperativa della parrocchia di Beata Maria Gabriella, unico centro dell’isola ad occuparsi anche delle famiglie e prima struttura della provincia che svolge azioni di recupero dei detenuti. Ancora oggi questa isola felice, nata quasi dieci anni fa nel cuore di via Biasi e accreditata con la Regione e la magistratura, è la sola istituzione sociale del territorio che riveste un ruolo di supporto e recupero per i detenuti delle carceri isolane e per le loro famiglie. Eppure rischia di chiudere a causa di problemi burocratici che hanno portato a mancati finanziamenti e quindi al tracollo della struttura che non riesce più a reggersi dalle sole offerte dei fedeli della parrocchia. Ma quel luogo simbolo a rischio è anche qualcosa di più.

«È l’emblema di una crisi che si scarica ancora sui più deboli tra tagli di risorse e finanziamenti mai arrivati – sottolinea don Pietro Borrotzu, parroco della chiesa Beata Maria Gabriella e presidente della cooperativa sociale a sostegno dei detenuti –. È con la morte nel cuore che dopo un anno di appelli e richieste di aiuto alla Regione siamo costretti a cessare tutte le attività del centro a causa della totale mancanza di soldi – annuncia –. Una decisione presa dopo essere stati esclusi da un bando regionale, del 2016, a causa di un banale errore, che avrebbe garantito la sopravvivenza del centro ancora per qualche tempo – spiega –. Ci siamo appellati più volte all’assessore Luigi Arru e tante altre siamo andati in Regione affinché la vicenda venisse risolta, ma a distanza di due anni sembra complicarsi. Questa per noi è la politica delle dichiarazioni e sono convinto che l’assessore non sappia neanche a che punto sia la nostra pratica».

Un centro di eccellenza costato oltre due milioni di euro e costruito grazie a un finanziamento della Comunità europea, che negli anni ha accolto oltre seicento detenuti in regime di semi libertà o con misure alternative al carcere. Una struttura convenzionata con Badu ’e Carros e Mamone e riconosciuta dall’Autorità giudiziaria per gli incontri protetti con i minori, oltre 600 accolti, fuori dalle mura carcerarie. Ma che tra problemi legati ai finanziamenti e pieghe burocratiche dei nuovi bandi, oggi rischia la chiusura definitiva.

Lavorare con i detenuti e le loro famiglie è un impegno complesso, cresciuto nel tempo mentre le risorse diminuivano. «Abbiamo visto aumentare le richieste di aiuto e crollare del 50 per cento i fondi pubblici – sottolinea don Pietro –. Da quando siamo nati abbiamo ricevuto due finanziamenti regionali che ci hanno consentito di lavorare a intermittenza a causa delle risorse sempre più esigue».

Fino ad arrivare al bando del 2016 dove veniva finanziato un milione e duecento mila euro da distribuire tra i sei centri dell’isola che offrono Programmi per l’accoglienza di giovani adulti e adulti sottoposti a misure restrittive della libertà personale. La nostra cooperativa sociale ha partecipato con il progetto “Riannodare i fili 3”, ma purtroppo abbiamo scoperto di essere stati esclusi dal finanziamento a causa di un banale errore sulla data che indicava il 2017 anziché 2016 – rimarca –. Un maledetto numero che ha bloccato l’intero meccanismo burocratico, non permettendoci dunque di essere beneficiari dei preziosi fondi. In questi ultimi mesi non abbiamo potuto rinnovare sei borse lavoro, ciò vuol dire che i progetti di reinserimento lavorativo di questi sei detenuti sono falliti miseramente a causa della carenza di fondi, e loro sono dovuti ritornare in carcere senza la possibilità di poter svolgere alcuna mansione». Perché se è vero che nell’ultimo avviso pubblico, risalente al dicembre scorso e messo in campo dalla Regione per far sì che anche la cooperativa di don Pietro Borrotzu potesse ricevere una boccata d’ossigeno, e un relativo rimborso spese per le associazioni e cooperative sociali che gestiscono comunità di accoglienza per detenuti, è altrettanto vero che di tutti i soldi chiesti dalla cooperativa nuorese meno della metà sono quelli finanziati e che ancora oggi non sono arrivati.

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