La Nuova Sardegna

Nuoro

L’isola indossa la maschera

di FRANCESCO PIRISI
L’isola indossa la maschera

L’aspetto pagano della festa richiama così la storia dei popoli dei nuraghi

25 agosto 2018
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Il cristiano e il pagano nella festa del Redentore s’incontrano e camminano insieme. Certo anche in quel chilometro che porta dal Quadrivio ai Giardini, dove questa sera si mostreranno le maschere antiche dell’isola. Quindici gruppi nel cartellone. Dalla provincia arriveranno i Mamuthones e Issohadores di Mamoiada (gruppo Pro loco), i Thurpos di Orotelli, i Merdules betzos di Ottana, Su Bundu di Orani, S’Urthu di Fonni, paese presente anche con le maschere “limpias” (bianche o pulite). Dalla vicina Gavoi, Su Tumbarinu. E ancora Sos Colonganos di Austis, il gruppo Murronarzu e Maimone di Olzai, i Tintinnatos di Siniscola, sino a Is Arestes e s’Urtzu pretistu di Sorgono. Da Oristano e dalla differente tradizione carnevalesca arborense, i Tamburini e Trombettieri della Sartiglia. Pronti a dare tono e ritmo alla sfilata, a Nuoro insieme ai vicini di terre che sono S’Intibidu, di Ardauli, e Su Corongiaiu di Laconi. Rappresentato anche il medio Campidano, con la maschera Cambas de linna, che arriva da Guspini. Quindici gruppi, quindici mastruche, quindici modi di fare spettacolo, che possono dare allo spettatore uno spaccato della Sardegna antica, così come delle feste comunitarie delle quali le maschere sono oggi protagoniste, da Sant’Antonio Abate al carnevale. Che è poi anche la ragione per la quale il segno pagano è andato a unirsi con la celebrazione cristiana, tanto che le tradizioni convivono e il Redentore a Nuoro ne è una conferma. Nel nome della storia della terra sarda, vale ancora però ricordarne l’origine, che è precristiana. L’isola delle maschere è quella dei popoli delle caverne o dei nuraghi, che seppelliscono i morti nelle “domus de janas”. La maschera antica ricorda i riti propiziatori di quel tempo, dedicati a Dioniso, il dio che come la vegetazione muore e rinasce per garantire la continuità della specie. Il carnevale di Ottana, con “su boe”, l’animale che va a impersonare il dio del sacrificio pagano, è la mimica del rito pagano. La veridicità è data soprattutto dall’essere manifestazioni sacre simili e comunque uguali nell’essenza a quelle presenti nelle nazioni delle altre sponde del Mediterraneo. Cosimo Soddu, Coeddu, a Mamoiada è stato l’ultimo rappresentante della tradizione di Costantino Atzeni, il “mamuthone” del rilancio della maschera, e più volte in cattedra sull’argomento: «Il rito rammenta che anche col paganesimo comunque si credeva e pregava nel nome di un essere posto al di sopra dell’uomo». Nell’antichità sono stati sacri i segni. Nella ripresa del secolo scorso gli spazi di espressione, quelli delle celebrazioni di fine inverno, ormai diventati momenti di pura festa comunitaria. Il Redentore con la processione mascherata racconterà di quei cambiamenti, ma sarà anche il contesto comunque di lusso perché si gustino spicchi della Sardegna autentica, fatta pure delle figure truci, sgraziate, irriverenti del carnevale tipico, vestite di pelli come il popolo della preistoria. Danze e suoni agresti che suscitano la festa, come nell’antichità dovevano smuovere il clima, portare la pioggia e l’abbondanza.

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