La Nuova Sardegna

Nuoro

«Giovani preti, lasciate i social e andate in strada»

Paolo Merlini
Giovani sacerdoti del Nuorese in una foto simbolo di Massimo Locci (non hanno alcun rapporto con le persone citate nell'articolo)
Giovani sacerdoti del Nuorese in una foto simbolo di Massimo Locci (non hanno alcun rapporto con le persone citate nell'articolo)

Don Mariani commenta il caso del vice parroco di Siniscola che su Facebook ha augurato la morte a una donna critica sulla sua posizione sui migranti

12 settembre 2018
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NUORO. «I sacerdoti, specie quelli più giovani, lascino da parte l’uso smodato dei social network se non ne hanno padronanza. L’incidente è sempre dietro l’angolo». Francesco Mariani, parroco della chiesa San Giuseppe, giornalista di lunga esperienza, sociologo e responsabile della comunicazione della Curia nuorese, commenta così l’episodio che ha visto protagonista il vice parroco di Siniscola Andrea Biancu, che su Facebook ha risposto nel modo meno cristiano possibile a una donna che lo criticava per aver rilanciato un post di Salvini, a suo dire razzista. «Nessuno le ha chiesto niente – ha scritto don Biancu nel commento poi cancellato dalla sua home page pubblica – Ma se ha bisogno per l’ultimo viaggio in orizzontale ci penserà qualcuno a chiamarmi: l’accompagnerò volentieri». Insomma, una sorta di li mortacci dal pulpito, se non un augurio di morte vero e proprio: così almeno lo ha inteso l’interessata, e non solo.

Un’uscita spiacevole, per usare un eufemismo. Che ne pensa don Mariani?

«Di più, disdicevole. In sardo diciamo che la morte non si augura neanche al nemico».

Se poi a dirlo è un sacerdote...

«No, non va bene detto da chiunque. Con tutti si può discutere e dissentire, ma al massimo si può augurare un forte mal di stomaco, nulla di più».

Si parla diffusamente dell’imbarbarimento delle relazioni umane specie sui social network, con la definizione sin troppo abusata dei leoni da tastiera. Lei che ne pensa?

«Lei mi chiede un giudizio su strumenti che io, pur essendo un uomo di comunicazione, non utilizzo. Non sono su Facebook, né su Twitter né su Instagram. Uso internet, certo, per controllare la posta o visitare un sito, ma non uso i social. A mio avviso, un prete secolare è chiamato alla sua vocazione per vivere in mezzo alla gente, e per guardarla negli occhi, faccia a faccia. Deve incontrarla, buona o cattiva che sia, di persona. Non possiamo sostituire l’incontro con un messaggino o un tweet».

Qualcuno potrebbe definire la sua posizione anacronistica: lo stesso Papa Francesco usa Twitter e non disdegna i selfie con i fedeli.

«Rispetto chiunque utilizza questi strumenti, l’importante è che li sappia governare. Quando non ce la fa, bisogna che umilmente, in carità cristiana, lo riconosca. E faccia altro. Il mondo virtuale, ormai così totalizzante per tanti, ci porta a dimenticare quello reale. Non ho Facebook, ripeto, ma vedo rapporti umani un po’ alla cieca. A me invece interessa guardare quella persona lì, confrontarmi faccia a faccia. Accetto anche che quella persona mi offenda, ma che lo faccia guardandomi negli occhi».

Molti giovani sacerdoti usano questi media diffusamente. A suo avviso dunque dovrebbero limitarsi?

«Il caso di Siniscola è uno dei tanti. Un sacerdote non può pensare che un telefonino o un computer siano oggetti privati. Un post su Facebook ha lo stesso potere di una parola durante la messa, e se dici una fesseria l’effetto sarà amplificato. Il mio è un invito alla moderazione, a non cadere in atteggiamenti puerili che condanniamo negli adolescenti quando siamo noi i primi a sbagliare».

Ci saranno provvedimenti della Curia verso don Biancu?

«Non credo. Personalmente a questo giovane sacerdote dico di evitare di ricadere negli stessi errori».

Tutto è nato da un post di Salvini sui migranti. Il caso vuole che l’attuale ministro dell’Interno, nei mesi scorsi, portò proprio lei, don Mariani, come esempio da seguire per la sua battaglia contro la diffusione della questua, spesso proprio tra i migranti, a Nuoro come in altre città. Anche in quel caso, a proposito, lei ricevette molte critiche.

«Il mio pensiero lo avevo espresso in un editoriale sull’Ortobene e poi in un’intervista proprio con la Nuova. Non ho da aggiungere altro: ciò che succede sui social, ribadisco, non mi interessa, anche perché spesso se ne fa un uso distorto».

Ha cambiato idea nel frattempo?

«No. Legga il mio prossimo editoriale sull’Ortobene, dove cito papa Francesco: “Un Paese che accoglie ma non integra è meglio che non accolga”. Ovviamente sono per l’accoglienza, che è un messaggio biblico, altra cosa è l’integrazione».

Lei vede crescere il razzismo in Italia?

«Ci sono episodi preoccupanti, certo, ma non siamo un popolo di razzisti».

Possiamo diventarlo?

«Questo è possibile. Il mio professore di sociologia alla Sapienza, Franco Ferrarotti, diceva che il razzismo è una questione di numeri».



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