La Nuova Sardegna

Nuoro

Macomer, il coraggio del calzolaio: «Basta piangerci addosso»

Sandro Biccai
Macomer, il coraggio del calzolaio: «Basta piangerci addosso»

Ex operaio precario di Tossilo apre un laboratorio al Corso. Pantaleo Murgia, 43 anni: «Gli artigiani meritano ben altra considerazione»

07 ottobre 2018
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MACOMER. Sono di segno opposto i sentimenti che manifesta Pantaleo Murgia, macomerese di 43 anni, sposato, due figli, mentre parla della sua attività nella piccola bottega artigiana a pochi metri dal corso Umberto, nel breve tratto di strada compreso tra il lastricato di via Roma ed il caratteristico ponte de “Antoni Fiore”. Da un lato vi è l’orgoglio per essere uno dei due calzolai rimasti ancora in attività a Macomer; dall’altro non manca un pizzico di amarezza per un lavoro fatto di molte ore di impegno quotidiano che non sempre ottiene le gratificazioni che meriterebbe, stretto com’è tra forme diffuse di concorrenza sleale, mutamento dei gusti e delle sensibilità dei clienti e, soprattutto, poca attenzione da parte dalle istituzioni.

«Le attività artigianali – dice Murgia – dovrebbero avere ben altra considerazione, invece sono scarsamente tutelate e salvaguardate».

«Un deterrente per i giovani, non molti per la verità, che mostrano interesse ad investire tempo e risorse in questo settore. In un quadro così delineato, e senza piangersi addosso, andare avanti diventa sempre più complicato. Un vero peccato perché vi è il pericolo concreto che tramonti un pezzo importante della storia dei nostri paesi».

Dopo aver lavorato come operaio precario all’inceneritore di Tossilo, alla soglia dei quarant’anni Pantaleo Murgia ha avuto il coraggio («l’ardire» dice lui) di rimettersi in gioco, facendo diventare un attività a tempo pieno un hobby confinato fino ad allora alla cerchia dei suoi amici: «Al termine di un anno di apprendistato svolto presso un esperto calzolaio di Sindia, Ninninu Piu, ho acquistato i macchinari e l’attrezzatura necessaria per aprire la bottega. Il lavoro, tutto sommato, non manca potendo contare su clienti che arrivano anche dai paesi del circondario».

«Il problema di fondo è che la gente, alle prese con la crisi, continua ad avere paura di spendere e, in generale, preferisce acquistare scarpe di modesta qualità, fatte in serie utilizzando materiali non eccelsi, piuttosto che comprare un paio di scarpe artigianali, sebbene uniche ed originali e molto più curate nei particolari e nelle rifiniture».

«È ovvio che a livello di prezzi non posso competere con le produzioni standardizzate dovendo mettere nel conto, tra le altre cose, l’alto costo della pelle, che arriva dalla Toscana, e le ore di lavoro necessarie per realizzare il manufatto».

Nel tempo è cambiata radicalmente anche la tipologia dei clienti che si affacciano alla sua bottega: «Oggi – spiega l’artigiano macomerese – sos botinos artigianali non vengono più acquistati dai pastori che, salvo qualche rara eccezione, si sono convertiti ai nuovi materiali, ma dai componenti dei gruppi folk. Con loro lavoro bene».

Altre proposte di Murgia sono i finimenti per cavalli, sas iscriglias, le selle sarde, le cinture, sas tascheddas: «È un mercato di nicchia, a carattere occasionale, ma che serve a guadagnare qualcosa e a farsi conoscere» è il suo commento prima di riacquistare la consueta posizione dietro il banco per riprendere a lavorare di buona lena ed ultimare un paio dei suoi “botinos”.



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