La Nuova Sardegna

Nuoro

«Condannate Cubeddu al carcere a vita»

di Giusy Ferreli
«Condannate Cubeddu al carcere a vita»

Dopo due giorni e mezzo il pm ha concluso la requisitoria: prove certe del piano criminale ed efferato ideato dai due cugini

12 ottobre 2018
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NUORO. «Il movente che affonda le radici nella lite di Cortes apertas, la premeditazione nell’organizzare il piano criminale, il patto tra cugini. Tutto questo è stato provato aldilà di ogni ragionevole dubbio. Chiedo l’ergastolo». Dopo due giorni e mezzo di requisitoria, il pubblico ministero, Andrea Vacca, rompe gli indugi e, alle 13 in punto, rivolgendosi ai giudici della Corte d’assise di Nuoro chiede il massimo della pena per Alberto Cubeddu, il giovane di Ozieri accusato della morte dello studente orunese Gianluca Monni e della scomparsa da Nule di Stefano Masala in concorso con il cugino Paolo Enrico Pinna, già condannato a 20 dal tribunale dei minori di Sassari.

Per Cubeddu, che al momento della richiesta non è in aula visto che poco prima ha domandato di tornare in carcere, l’accusa ha chiesto inoltre l’isolamento diurno per due anni e non per il massimo del periodo previsto «in ragione della giovane età». L’altra richiesta di condanna è per Francesco Pinna, lo zio dei due ragazzi accusati di aver tentato di indurre Alessandro Taras a rilasciare dichiarazioni mendaci. Nelle giornate precedenti Vacca ha passato al setaccio le carte del processo intrecciando volti e date e in un drammatico rincorrersi di circostanze che hanno portato all’esecuzione spietata di Gianluca la mattina dell’8 maggio del 2015. «A quel fatto gravissimo, l’uccisione di un 19enne che si prepara all’esame di maturità, si aggiunge un altro fatto efferato: la scomparsa e la distruzione del cadavere di Stefano che non ha mai fatto ritorno a casa». Nel computo dei reati a carico di Cubeddu, che contempla anche la detenzione di arma da sparo, non c’è più il sequestro di persona e la rapina. «Non sappiamo – dice il rappresentante dell’accusa – come sia stato materialmente ucciso Stefano. Non sappiamo dove sia ora: se tra i maiali o in un buco. Non sappiamo se l’Opel Corsa sia stata sottratta con violenza o con l’inganno. Sappiamo però che il piano prende l’avvio il 28 aprile del 2015 quando Paolo Enrico Pinna, dopo quattro mesi, riallaccia i rapporti con Stefano Masala. Nello stesso giorno si informa se la motocicletta, comprata qualche settimana prima e formalmente intestata a Cubeddu, sia efficiente». Il progetto, nello schema riassunto dall’accusa è chiaro: sottrarre la macchina a Stefano per far ricadere su Stefano, che si trovava a Orune durante il litigio e avrebbe potuto covare del risentimento, la responsabilità dell’omicidio di Gianluca». Per Gianluca si è trattato di vendetta, per Stefano di opportunità. «Un piano perfetto organizzato dai due cugini che comportava l’eliminazione non solo del corpo ma anche della macchina – continua – ma che si incrina quando Alessandro Taras decide dopo un anno di tomento di raccontare dell’incendio dell’Opel Corsa. E poi c’è Peppone Manca che incaricato dal compare Marco Masala, padre di Stefano di fare chiarezza sulla circostanza che gli era stata riferita e secondo la quale la sera del 7 maggio poco prima della scomparsa il ragazzo aveva ricevuto una telefonata da Paolo Enrico, va a casa dei Pinna. «Manca - ricorda ancora una volta Vacca– vede il ragazzo tornare a casa all’ora do pranzo a bordo della Kawasaky Ninja, utilizzata per far ritorno da Ozieri dove ha trovato rifugio subito dopo l’agguato mortale a Gianluca». Il pm insiste sull’asse tra i due cugini e sull’attendibilità della super testimone. «Il riconoscimento di Cubeddu, che avviene in due occasioni tra 60 fotografie è una prova certa. La testimone – ricorda Vacca – a poche ore dal fatto descrive minuziosamente le fattezze de giovane che ha visto in piena luce, passare due volete a bordo di un’auto grigio scuro, e sporgersi verso di lei. Lo vede a pochissima distanza un metro e mezzo, due metri mentre la fissa. E lo riconosce. Una prova inoppugnabile».

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