La Nuova Sardegna

Nuoro

La colpa di Manuel Careddu: «Avere chiesto i soldi alla 17enne davanti alla madre»

Enrico Carta
Manuel Careddu
Manuel Careddu

Debiti di droga, il ragazzo era andato a casa della minorenne. A quel punto gli amici hanno deciso di fargliela pagare

14 ottobre 2018
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GHILARZA. Parlano, in qualche caso balbettano. Nessuno dei cinque arrestati però sceglie la via del silenzio. Dopo due soli giorni di carcere, in ordine sparso, decidono di raccontare frammenti più o meno grandi di verità che più che servire agli inquirenti che di verità ne hanno già una quantità enorme, potrebbero tornare utili agli stessi indagati. Ci saranno altri interrogatori e soprattutto ci saranno processi da affrontare dove un’attenuante può cambiare – di molti anni – il futuro dei cinque ragazzi. Il futuro non è più una meta per Manuel Careddu, ucciso per un debito di droga, lui che nei panni del creditore compie quel gesto che fa perdere le staffe a qualcuno dei cinque che poi prende la decisione di organizzare l’omicidio.

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L’errore fatale del ragazzo di Macomer sarebbe stato quello di bussare a casa della diciassettenne per riscuotere i soldi delle vendite dello spaccio. Si sarebbe mosso cioè in maniera troppo invadente col rischio di far scoprire ai genitori di G.C. che faceva uso di stupefacenti. Non passano molti minuti prima che quest’ultima avvisi Christian Fodde al quale forse era legata da qualcosa di più di una forte amicizia. L’episodio diventa poi di dominio pubblico all’interno della piccola cerchia di amici e forse anche al di fuori di essa. Sono però i cinque arrestati a tramare nell’ombra sino al giorno della messinscena che porta al delitto, anche se forse qualche parola sfugge loro di bocca nei giorni successivi all’omicidio. Anzi, è molto probabile che qualche altro ragazzo sapesse quanto era accaduto, ma si sia ben guardato dal farne parola in giro.

Qualche sospetto, prima ancora di ascoltare l’intercettazione, iniziavano ad averlo anche gli inquirenti. Ad esempio, nei giorni in cui una coltre schiumosa aveva cambiato volto alla superficie del lago, una scarpa era stata ritrovata da chi ispezionava le acque per capire se si fosse trattato di inquinamento. La scarpa era di Manuel Careddu. Tutto però rimane sotto traccia sino agli arresti di mercoledì. È proprio nel pomeriggio di tre giorni fa che, nella caserma del comando provinciale dei carabinieri, iniziano le prime ammissioni. C’è chi indica il luogo in cui è stato sepolto il corpo, chi ammette di sapere del delitto. Sono le prime parole di confessioni che ieri diventeranno assai più ampie. Non sono ammissioni piene, però, separatamente i ragazzi forniscono elementi inequivocabili che confermano quanto già era apparso chiaro dalle intercettazioni e da altre attività d’indagine.

Durante gli interrogatori che si sono svolti nelle carceri di Massama e in quello minorile di Quartucciu nessuno degli arrestati si avvale della facoltà di non rispondere. Le strategie degli avvocati difensori Emanuele Tuscano, Gianfranco Siuni, Giancarlo Frongia, Francesco Campanelli e Aurelio Schintu sono diverse. C’è chi sceglie la strada delle spontanee dichiarazioni, chi invece si sottopone all’interrogatorio rispondendo a domande precise e mettendo al loro posto varie tessere del mosaico, ma anche, in qualche caso, escludendo dirette responsabilità nell’omicidio. C ’è chi spiega che non pensava che davvero i loro amici arrivassero a tanto, c’è chi pensava che tutto si sarebbe concluso con una severa lezione per l’imprudenza commessa. Unita sino al momento degli arresti, la squadra inizia ora a mostrare molti punti deboli.

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