La Nuova Sardegna

Nuoro

Nuraghe, sessant’anni di battaglia al degrado

di Valeria Gianoglio
Nuraghe, sessant’anni di battaglia al degrado

Quasi 7mila residenti e un territorio sconfinato. «È una città nella città» Dagli anni ’50 a oggi tra disagio sociale e piani di rilancio in attesa di decollo 

07 novembre 2018
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NUORO. Seimilaottocento residenti, 53 morti registrati finora, appena due matrimoni celebrati in chiesa negli ultimi undici mesi, un territorio sterminato che comincia, come ricorda l’ex presidente del comitato di quartiere, Ninni Spoto, «dal semaforo del vecchio Catasto, in via Lamarmora, e arriva alla sorgente di Funtana ’e littu». E nel mezzo – caratteristica unica a Nuoro – la presenza di due nuraghi, Tanca manna e Tertilo – e un mucchio di contraddizioni che resiste, quasi del tutto incontrastato, dagli anni ’50. Perché è proprio dalla fine di quel decennio che l’allora istituto autonomo delle case popolari consegnò a decine di famiglie numerose le chiavi degli appartamenti diventati poi un vero simbolo del rione del Nuraghe: le case “del trenino”. Ribattezzate così perché disposte lungo una linea retta e in salita, come una locomotiva con tutti i suoi vagoni.

E sono proprio le casette del Trenino il simbolo di uno dei quartieri periferici più popolosi di Nuoro: il Nuraghe. Un tempo, da queste parti, le volanti passavano un giorno sì e l’altro pure. Ora la situazione è diventata più tranquilla, ma alcune sacche di disagio sociale, nonostante la buona volontà di tanti altri residenti, resistono. «Questa zona potrebbe offrire tanto – spiega una delle residenti storiche delle palazzine – ma ci sono appartamenti occupati abusivamente da persone molto povere, senza lavoro, e volte prive anche di senso etico e civico. Spesso si nota una vera mancanza di rispetto, e poi mancano i controlli».

Ma basta attraversare un piccolo tratto di via Martiri della libertà e il disagio sociale si specchia nel suo opposto. E dalle case del Trenino si arriva alla zona del parco di Tanca Manna oggetto di un progetto di rilancio e recupero. La gestisce l’archeologo Demis Murgia e oltre agli scavi per riportare alla luce un villaggio nuragico, ospita concerti, serate astronomiche e un mercato contadino.

Ma ad appena pochi metri c’è l’ennesimo segnale delle contraddizioni che da sempre accompagnano il rione. È una casupola diroccata: all’interno ci sono un divano lercio, un tavolino, alcune sedie per giocare a carte, un paio di bottiglie di birra. Malgrado tutto, è uno spazio di ritrovo, visto che l’ultimo bar, nella zona, ha chiuso da anni. Ma il quartiere sogna altro: strade senza buche, pozzetti ripuliti, marciapiedi funzionali, un locale dove prendere il caffè e scambiare due chiacchiere. «Da anni, in fondo, chiediamo soprattutto decoro», dice l’ultimo presidente del comitato di quartiere, Ninni Spoto.

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