La Nuova Sardegna

Nuoro

Morti nella Grande guerra: omaggio alla prefica Efisina

Paqujto Farina
Morti nella Grande guerra: omaggio alla prefica Efisina

Bitti ricorda  i morti del primo conflitto mondiale e le reazioni nel paese. Spazio anche alla storia della donna chiamata per onorare i defunti

10 novembre 2018
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BITTI. «Sas mamas a disconsolu, son pianghenne sos fitzos. In carta sos assimitzos, mannan pro vaches su dolu. Non bolan pius a bolu, sos tzovanos de valore. Custa gherra sambenosa, la tresset su Redentore». È la strofa iniziale di un ode scritta nel 1916 da una prèfica di Bitti, tale Efisina de Grimenta, e dedicata ai valorosi soldati caduti sul fronte. Inserite nel corposo programma di “Akimus” per il 100° anniversario della fine della Grande Guerra, oggi e domani, domenica 11 novembre, dalle ore 9 alle 13 e dalle 15 alle 20 presso “Sa corte de Banninu” l’associazione “Sa Bitha” propone “Usanze, tradizioni e reazioni della popolazione bittese alla notizia dal fronte della morte dei loro concittadini”.

Durante il conflitto Bitti fu colpito da una lunga catena di lutti e Efisina de Grimenta, che malgrado fosse cieca era la prèfica più celebre, veniva chiamata affinché il defunto fosse onorato nella forma più solenne; a maggior ragione se si trattava di un giovane caduto eroicamente. La particolarità di questi versi, una rivelazione in quanto scritti per tutti i caduti sul fronte e non esclusivamente per un soldato in particolare, vennero appresi all’epoca da giovani e adulti e, come racconta la scrittrice Francesca Pittalis nel libro “Rituali di morte e canti di prèfiche in Sardegna”, le ragazze, recandosi nelle chiese campestri per pregare, la recitavano per invocare la potenza divina affinché intervenisse per far cessare il conflitto. La guerra imperversava e 111 vite bittesi furono sacrificate sul fronte austro-ungarico. All’arrivo del funesto annuncio la parentela si preparava a celebrare “su teju”, e se in famiglia non vi era qualcuno con il dono della poesia, zia Efisina veniva chiamata perché “attittasse” il loro caro. Accorreva alla casa del defunto, dove si poneva “in riga”, ovvero tra i parenti stretti. A lei era riservato il posto d’onore, “in conca”, quello cioè che avrebbe dovuto occupare la madre del morto o, nel caso l’estinto fosse sposato, la moglie. Nel libro di Francesca Pittalis è descritta molto bene la scena. La prèfica sedeva per terra, “a pedes a ruche”, con le gambe incrociate, accovacciata sopra una “vressat”, il tipico tappetto sardo, dove veniva collocata la fotografia o il ritratto del defunto. A volte si stendeva pure “sa este de su mortu”, gli abiti del morto. Dondolandosi a destra e a sinistra, avanti e indietro, “a chilliu”, la prèfica intonava il canto cadenzando ritmicamente la voce, per essere seguita da tutti i parenti, quelli in riga “e in palas de riga”, dietro cioè la fila dei familiari più stretti. Con accenti di accorata nostalgia verso il defunto, ne cantava la bellezza, l’avvenenza, la personalità e il coraggio. E quando, poeticamente e in versi, gli si rivolgeva chiedendogli se nell’aldilà avesse visto questo o quel parente morto precedentemente, il pianto diventava corale.

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