La Nuova Sardegna

Nuoro

Chighine: «la strada era transitabile»

di Kety Sanna

NUORO. Una serie di sopralluoghi, il primo risalente al 10 dicembre 2013, a un mese esatto dall’alluvione che nel Nuorese contò due vittime: il poliziotto Luca Tanzi, deceduto nel crollo del ponte di...

08 ottobre 2019
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NUORO. Una serie di sopralluoghi, il primo risalente al 10 dicembre 2013, a un mese esatto dall’alluvione che nel Nuorese contò due vittime: il poliziotto Luca Tanzi, deceduto nel crollo del ponte di Oloè e un’anziana di Torpè, Maria Frigiolini che non era riuscita a mettersi in salvo ed era morta annegata nella sua abitazione. L’ultimo a fine settembre 2014 per chiudere la consulenza chiesta dalla Procura di Nuoro, atta a chiarire le cause dell’esondazione del fiume Posada che ha distrutto le aree circostanti e messo in pericolo l’incolumità di un numero imprecisato di persone. Compito dei periti era stabilire la natura e la causa del disastro, ma anche verificare se le misure adottate e progettate erano conformi o meno alle disposizioni normative, e se potevano prevenire ed evitare l’esondazione. «Se l’argine del rio Posada fosse stato completato a dovere e nei tempi stabiliti la calamità si sarebbe evitata». Queste le conclusioni a cui sono giunti i periti nominati dalla procura e sentiti ieri al processo che vede 61 imputati, accusati a vario titolo di diverse omissioni, e qualcuno della morte del poliziotto e dell’anziana di Torpè.

Il giudice monocratico Giorgio Cannas, rigettando le eccezioni sollevate dagli avvocati della difesa che hanno definito la perizia «una vera e propria relazione di polizia giudiziaria» e «il numero dei consulenti eccessivo», ha fatto partire l’esame dei tre ingegneri e di un geologo: Marco Bruni, Bruno Grego, Sante Mazzacane e Alberto Bizzarri che hanno risposto alle domande dei pm Emanuela Porcu e Ilaria Bradamante e presentato il lavoro svolto in un anno di sopralluoghi, visite alle cave di inerti, analisi dati e misurazioni, poi incrociati ed elaborati in base alle specificità di ognuno.

«Durante la piena – ha spiegato il collegio dei quattro tecnici – l’argine non è stato scavalcato. Il problema è che all’origine nel progetto erano stati realizzati dei buchi, delle finestre che sarebbero dovute essere chiuse al momento della piena, ma invece erano aperte e avevano dato vita all’esondazione. Non solo – hanno aggiunto i periti – i lavori non erano stati conclusi, perciò non c’era stato il sollevamento dell’argine e neppure le rampe erano state adeguate a dovere. Nella diga Maccheronis le criticità erano legate all’abbandono dei lavori da parte della ditta. Altra causa – hanno proseguito – era da attribuite al tipo di materiale utilizzato per la realizzazione degli argini. Si trattava di materiale grossolano non compattato a sufficienza che alla prima piena rischiava di inzupparsi d’acqua. Abbiamo fatto prove nel sito, nel punto che non è collassato».

Poi è stato tracciato l’iter dei lavori della diga Maccheronis e secondo il cronoprogramma originario dovevano essere conclusi da tempo. Invece il contratto stipulato il 9 giugno 2011, che prevedeva la conclusione dei lavori nel settembre 2012 aveva visto susseguirsi varie richieste di proroga, tant’è che alla data della piena mancavano da fare il 42 per cento dei lavori. Per i periti dell’accusa, dunque, di fronte a un evento eccezionale qual’era stato l’alluvione Cleopatra, a contribuire a causare morte e danni la sera del 18 novembre 2013 erano stati anche i lavori degli argini realizzati male e quelle “finestre” che, essendo aperte e non chiuse come sarebbero dovute essere, hanno fatto da breccia per l’esondazione.

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