La Nuova Sardegna

Olbia

Il processo per l'alluvione del 2013: «Ho visto morire mio figlio e mio nipotino»

di Giampiero Cocco
Il processo per l'alluvione del 2013: «Ho visto morire mio figlio e mio nipotino»

Il racconto e la rabbia di Paolo Mazzoccu che con un meccanico, anche lui in aula, tentò di salvare i due dalle acque

19 marzo 2016
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TEMPIO. Le drammatiche testimonianze di coloro che vissero, in prima persona, le terrificanti ore in cui imperversava sulla Gallura il ciclone Cleopatra, il 18 novembre 2013, sono state al centro dell’udienza di ieri al tribunale di Tempio.

Lo straziante racconto della morte di Francesco Mazzoccu e del figlioletto di tre anni Enrico ha riempito di commozione, dolore e tantissima rabbia l’aula del tribunale di Tempio. Una tragedia che si è consumata sotto gli occhi colmi di lacrime di disperazione di Paolo Mazzoccu, il sessantaseienne genitore di Francesco e nonno del piccolo Enrico. «Ho visto morire mio figlio e mio nipote, me li ha trascinati via la furia delle acque, a venti metri da me. E non potevo far nulla» è riuscito a dire, con la voce rotta dalla commozione e le lacrime che gli rigavano il volto, il pensionato olbiese. L’eroe inascoltato di quella giornata di diluvio universale fu invece il meccanico olbiese Pietro Mariani il quale, arrivato con il suo fuoristrada a Raica (località dove aveva un piccolo podere), trovò la stradina di penetrazione agraria invasa dall’acqua di un rigagnolo diventato torrente in piena. A poca distanza, su un muretto a secco, si era rifugiato, dopo che la sua utilitaria era stata travolta dalla furia delle acque, Francesco Mazzoccu, il quale stringeva al petto il figlioletto Enrico, di tre anni, proteggendolo dalla pioggia torrenziale sotto il giubbotto. Le grida di aiuto dell’uomo, che voleva salvare la vita del suo bimbo, sono risuonate nella vallate di Raica per quasi un’ora. Il tempo che Pietro Mariani ha trascorso tra la stradina trasformata in un torrente in piena e la statale 125 di Putzolu, nel vano tentativo di convincere, ricevendone insulti e gestacci, un operaio Anas che, a poche centinaia di metri di distanza, si era barricato dentro la Panda a guardia del fiume che invadeva la statale. «Ho implorato quell’uomo di aiutarmi, di bloccare un camion o trovare un lunga cima per poter salvare quei due disperati immersi nell’acqua sino al petto, su un muretto a secco che franava sotto i loro piedi ». Per due volte Pietro Mariani ha tentato di impietosire il cantoniere che restava chiuso dentro l’auto. «Nei confronti di quest’uomo e del suo caposquadra è stato aperto un procedimento penale per omissione di soccorso», ha ricordato ieri il capo della Procura Domenico Fiordalisi. Poi la tragedia si consumò, tra acqua e fanghiglia. La vedova di Francesco Mazzoccu, Carolina Serreri (rimasta senza lavoro e con l’esistenza devastata dal dolore per la perdita di un figlio e un marito), ha denunciato il cantoniere contro il quale si costituirà parte civile nel corso del procedimento penale che sarà aperto a breve termine. Le sei figlie di Anna Ragnedda, l'anziana costretta a letto e morta annegata nella sua abitazione di via Lazio, hanno invece ricostruito le ore in cui la madre, assistita da una badante romena, perse la vita perché nessuno entrò in casa per prestare soccorso. Un punto, questo, che ha accomunato tutte le tragedia consumatesi quel giorno, quando la defaillance della protezione civile fu totale. Nessuno avvisò la popolazione, tantomeno aiutò a lasciare le abitazioni le tante persone che non potevano camminare. Un canovaccio accusatorio più volte ribadito da investigatori e testimoni di una tragedia collettiva che, il 18 novembre del 2013, travolse la Gallura. Il processo riprenderà il prossimo 11 aprile con ulteriori testimonianze accusatorie. Ieri il Pm ha rinunciato a molti dei testimoni, i quali avrebbero dovuto ribadire cose già dette.

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