La Nuova Sardegna

Olbia

«Io, devastato da due alluvioni»

di Giampaolo Meloni
Antonio Mura
Antonio Mura

L’incredibile vicenda di Antonio Mura, colpito nel 2009 poi da Cleopatra: «Ma nessuno mi ha aiutato» 

18 settembre 2017
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OLBIA. Il presidente della Repubblica Mattarella ha ricevuto la sua lettera un anno fa. «Se posso essere preso in considerazione, chiedo di essere preso in considerazione». Una lettera vergata a mano, con calligrafia incerta ma concetti chiari, determinati. Che non lasciano dubbi sulla sua disperazione. Antonio Mura è originario di Buddusò, 66 anni, da sempre residente a Padru, dove ha avuto e cerca eroicamente di tenere in attività due aziende, una di rimessaggio roulotte e l’altra di lavorazione marmi e graniti. Il fatto è che il suo lavoro è stato devastato da eventi calamitosi in due occasioni: nel 2009 un nubifragio, nel 2013 l’alluvione Cleopatra. «E nessuno mi ha dato una mano».

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La risposta della presidenza della Repubblica è arrivata, qualche tempo fa attraverso la prefettura di Sassari. «Mi hanno detto che non si può fare nulla», racconta gonfio di dolore e animato da un’amarezza che nel tempo ha preso la forza dell’esasperazione. «Ma che Stato è mai questo? – obietta oggi, pieno dell’inquietudine di chi si sente ingiustamente tenuto ai margini –. È uno Stato di diritto? A chi mi devo rivolgere?».

La sua storia ha una bilancio di 640mila euro di danni. Quantificati al centesimo da perizie professionali, corredate da centinaia di foto che documentano la furia del fiume che scorre a pochi metri dalle sue attività e che a ogni secchiata di pioggia si gonfia come un mostro, da 9 a quaranta metri di larghezza. La prima volta, quel terribile 24 settembre del 2009, la furia dell’acqua ha distrutto il rimessaggio, decine di roulotte accartocciate. Ma la forza dell’acqua è stata così imponente che gli ha trascinato via i blocchi dei graniti come fossero polistirolo.

«Ho lavorato una vita, manovale da quando avevo 9 anni, Poi mio padre è morto e io, tredicesimo di 14 figli, ho dovuto tirare su la famiglia, costruire un lavoro per me stesso». Ha lavorato in Libia, in Arabia, Iran. «Quanti sacrifici per costruire un’attività». Una vita e un patrimonio di lavoro e di risorse cancellate da un temporale che improvvisamente annienta la tua esistenza.

Quante lettere, quanti timbri, quanti indirizzi impressi nelle ricevute delle raccomandate: Regione, Protezione civile nazionale, prefettura, sindaco. «In quel maledetto settembre, in dieci minuti ho perso il 70 per cento dei miei clienti». Poi è arrivato il 2013. Altri centomila euro di danni, all’incirca. «Ora? Ho solo debiti, tanti – rimarca Antonio Mura –, con privati, amici e parenti che con grandi sacrifici e generosità mi hanno aiutato. Sono arrivato al punto di fare brutti pensieri anche sul mio destino. Ma che Stato è mai questo, che mi guarda in faccia e mi riconosce quando pago le tasse e mi ignora quando sto ormai valicando la soglia della disperazione?».


 

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