La Nuova Sardegna

Olbia

L'alluvione di Olbia 5 anni dopo, all’inferno e ritorno: «Viviamo nel terrore»

di Dario Budroni
L'alluvione di Olbia 5 anni dopo, all’inferno e ritorno: «Viviamo nel terrore»

La rabbia dei cittadini: «Qui nulla è cambiato, siamo stati abbandonati». Paura in zona Baratta e a Isticadeddu: «I canali sono ancora un pericolo»

17 novembre 2018
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OLBIA. I balconi fioriti e le stanze ben arredate sono solo un velo di apparenza che copre la paura. La vita da queste parti forse non scorrerà mai tranquilla. Si può cercare di non pensarci troppo. Ci si può anche imporre di non lasciarsi sopraffare dal panico e dalla rabbia. Ma in realtà basta davvero che qualche nuvolone scuro si addensi all’orizzonte per far riemergere l’incubo più atroce di chi è stato alluvionato. Nella città ferita e che ha contato nove morti sono cambiati anche i punti di riferimento per la misurazione del tempo. Ormai si ragiona così: prima dell’alluvione, dopo l’alluvione. Come si faceva per le guerre. Il 18 novembre del 2013 è uno spartiacque della vita di migliaia di persone che continua a scandire le ore della quotidianità. «E devi vedere cosa succede quando annunciano maltempo. Senti la paura che cresce dentro di te. Ma io dico: si può vivere così? È giusto tutto questo? Sono passati cinque anni, ma non è cambiato niente. E non sto mica esagerando: per niente intendo niente».

Carlo Altana, pensionato, abita in zona Baratta dal 1985. Lui ha subìto due alluvioni. Il suo quartiere è una vasta e popolosa area con i nervi costantemente scoperti. Dietro le case c’è un fiume che adesso scorre placido e sereno. E sotto il manto stradale regna un groviglio di canalette e tubature che esplodono non appena piove un po’ più forte. Per rendere bene l’idea di ciò che è successo, basta dire che Carlo Altana deve addirittura ricorrere a un manico di scopa per indicare il livello raggiunto dal fango. «Ecco, questa è casa mia. Due metri e 40 nel 2013, un metro e 20 nel 2015. 70mila euro di danni la prima volta, 13mila la seconda. Naturalmente i risarcimenti non sono bastati. Ogni tanto qualcuno mi dice: ma perché non te ne vai? Ma è impossibile. Chi se la compra casa mia? Nessuno. E chi me li dà i soldi per comprare un altro appartamento? La risposta è sempre la stessa: nessuno».

In zona Baratta vive anche Gianni Mascia. Sta curando il suo giardino quando racconta cosa vuol dire vivere appesi alle previsioni meteo. «Quando c’è l’allerta, tra vicini ci mandiamo una serie di messaggi su whatsapp. È un modo per tenerci aggiornati, per condividere la paura. E il problema è che sembra non esserci nessuna svolta. Dei lavori tanto promessi, per esempio, neanche l’ombra». Ormai anche il dibattito sul piano di mitigazione del rischio idrogeologico non appassiona quasi più. È un braccio di ferro che non viene più capito da chi è costretto a tirare avanti con un occhio al cielo. «Si parla anche di un referendum per scegliere un piano oppure l’altro – continua Mascia –. Ma perché dovremmo decidere noi? Non siamo mica degli ingegneri. Secondo me, si sta solo perdendo tempo». Carlo Altana, che è uno dei membri del comitato di quartiere, rincara la dose: «Ma gli amministratori non hanno paura che possa accadere di nuovo? Come fanno a dormire tranquilli? Eppure anche le cronache nazionali non parlano altro che di disastri».

Invece Gavino Chessa lavora nella carrozzeria Pirina di via Lazio. Quando sente parlare di alluvione, prende il telefono e apre la cartella delle immagini. «La carrozzeria appariva così. Abbiamo contato 46mila euro di danni. C’erano anche otto auto dei clienti. Ci hanno aiutato i volontari, per il resto poco o niente. Ma noi almeno ce l’abbiamo fatta, qualcun altro no». La paura fa da collante e unisce i quartieri a rischio. Se zona Baratta trema, il rione di Isticadeddu non se la passa certo meglio. Anche qui il rio Seligheddu è una specie di mostro in letargo. Nel 2013 spazzò via mezzo quartiere nel giro di pochi istanti. Da allora è cambiata solo una cosa: il ponte che faceva da tappo non c’è più. Forse basterà, forse no.

«Da quando è stato demolito il ponte siamo un po’ più tranquilli. Però sappiamo che, non essendoci più una barriera, le cose andrebbero peggio per chi vive a valle, in zona Baratta – dice Antonello Frau –. La preoccupazione comunque resta. Quando diluvia continuo a rimanere sveglio per controllare il livello dell’acqua». Vincenza Pes aveva lo sguardo perso nel vuoto quando il Seligheddu devastò casa e ricordi: «La paura non passa, a questa condizione non ci si abitua. È terribile. E purtroppo a vivere così siamo in tantissimi, gli stessi di cinque anni fa».
 

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