La Nuova Sardegna

Olbia

Olbia, l'alluvione 5 anni dopo: «Neanche una targa per i nostri morti»

Dario Budroni
Francesco ed Enrico Mazzoccu, avevano 35 e 4 anni
Francesco ed Enrico Mazzoccu, avevano 35 e 4 anni

Carolina Serreri ha perso marito e figlio di 4 anni: «Vittime dimenticate, lotterò con tutte le mie forze per avere giustizia»

18 novembre 2018
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OLBIA. Le sue ferite sanguinano ogni giorno. Ma è quando il calendario segna 18 novembre che arriva il momento di riavvolgere il nastro dei ricordi e scoprire ancora una volta che nulla sembra essere cambiato. Carolina Serreri è una donna che da cinque anni sbatte la testa contro il dolore e l’indifferenza. La sera di quel maledetto 18 novembre, nel buio pesto di una alluvione che stava devastando tutta una città, lei perse Francesco ed Enrico, suo marito e suo figlio. Due vite prese e portate via, trascinate dalla piena di un rigagnolo di periferia che la pioggia aveva trasformato in un mostro impazzito. Oggi Carolina soffre come allora, ma per questo quinto anniversario ha deciso di non restare più in silenzio. La moglie e la mamma di Francesco ed Enrico Mazzoccu, 35 e 4 anni, grida il suo dolore e la sua indignazione attraverso una lettera che va dritta al cuore. Vuole giustizia e la chiede ad alta voce, perché il silenzio, secondo lei, dal 2013 a oggi è stato fin troppo.

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Neanche una via. In città, per esempio, i nomi delle nove vittime si portano solo nei cuori. «È passato un altro anno di silenzio assordante. Un altro anno che avvicina la prescrizione del processo che ha visto gli imputati assolti in primo grado – scrive Carolina Serreri –. E nessuno in questa città pare aver interesse a parlare di una vicenda impossibile, almeno credevo, da dimenticare. Nessuno ha mai pensato di intitolare una piazza a quelle vittime innocenti. O magari una scuola. Nessuno si è mai azzardato di proporre l’affissione di una targa che li ricordi. Nessuna istituzione. Mi verrebbe da pensare che non sia accaduto poiché questo avrebbe fatto scaturire un rimorso di coscienza in chi ha delle responsabilità per quelle morti impunite».

Sete di giustizia. Carolina pretende giustizia, per suo marito e suo figlio, morti in località Raìca, e per tutte le altre sette vittime di Olbia. «Spero che tutto non finisca nel dimenticatoio con un fallimento della giustizia. Non lo potrei accettare, nella maniera più assoluta – scrive ancora Carolina –. Il tempo che passa è un’agonia senza fine per chi, quel maledetto giorno, ha perso la ragione per cui vivere. Ora voglio almeno giustizia. Non chiedo altro. Non si può certo trovare conforto nella processione con le candele accese che illumina la notte olbiese ogni 18 novembre, l’ultimo barlume di quella solidarietà esplosa come una cometa in quei tragici giorni. Non possiamo essere lasciati soli aspettando che il tempo passi invano. Quella cometa conduce alla giustizia e non si deve spegnere. Non può essere schiacciata dall’interesse a mettere tutto sotto silenzio. Quella ferita che ha squarciato la quotidianità sottraendoci gli affetti più cari deve essere tramandata affinché ci sia giustizia per ciò che è accaduto e per fare in modo che non accada mai più. Speculazioni senza ritegno e dimenticanze senza possibile perdono non devono cancellare la ragione di vita dei cittadini indifesi. Quella ragione a cui mi aggrapperò sino a quando potrò, combattendo con tutta me stessa, con gli occhi pieni del sorriso di chi dava un senso alla mia vita».

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