La Nuova Sardegna

Violenza sulle donne, il dovere di agire

INTERVENTO - Anche in Sardegna la Regione deve attivare servizi di prevenzione e sostegno alle vittime. Applicare in ogni sua parte la Convenzione di Istanbul

17 settembre 2017
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È talmente difficile far entrare nella politica, prevalentemente centrata sull’avere, temi attinenti all’essere che l’evento del consiglio regionale sulla violenza di genere deve essere salutato con favore. Tanto più in presenza di una mozione presentata da maggioranza e opposizione, segno e garanzia di condivisione e di impegno corale sui contenuti culturali, come si addice ad una assemblea che rappresenta l’intero popolo sardo.

La grande nostra concittadina Nereide Rudas, insieme alla sua scuola, a questa concordia evidentemente pensava quando diceva, nel suo ultimo libro sul muliericidio (“Donne morte senza riposo”), che il modo per dare riposo alle donne uccise nell’ambito delle relazioni familiari era quello di occuparsi seriamente di questo problema. Quindi, ogni barlume di luce è benvenuto. Ma non basta che ogni anno il 25 novembre ritualmente la politica nazionale, con qualche lacrimuccia di circostanza e qualche drappo rosso alle finestre, parli episodicamente del problema, senza far seguire interventi globali e complessivi (il presidente Pigliaru ha stigmatizzato l’inadeguata cultura applicativa). Eppure abbiamo rilevanti, puntuali e cogenti documenti sovranazionali che ci richiamano al dovere di agire, se non bastassero i drammatici numeri. Li ricordiamo brevemente: 1) la Convenzione Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna (Cedaw), ratificata e resa esecutiva dall'Italia; 2) il Protocollo opzionale alla stessa Convenzione; 3) La Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 1993; 4) la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011 e ratificata dall’Italia nel 2013.

Non condivido l’opinione della ministra Finocchiaro secondo cui le leggi esistenti sono sufficienti: se così fosse non si capirebbe perché il fenomeno non sia finito. Attingo ad una proposta di legge da me redatta per dire che c’è ancora molto da fare su molteplici versanti. Uno riguarda l’aspetto repressivo sul quale, pur senza riporvi eccessiva fiducia, bisogna dire che anche le leggi penali andrebbero adeguate alla gravità della situazione: istituire nuovi reati (quali la violenza psicologica), estendere quelli esistenti (come il maltrattamento in famiglia), adeguare il regime sanzionatorio per i casi più gravi così come la disciplina di più severi interventi cautelari, personali e patrimoniali, e penitenziari. Ancor più carente è il piano della prevenzione speciale, per cui chi ha dimostrato una personalità violenta dovrebbe sentire su di sé un controllo asfissiante. C’è, poi, l’aspetto della prevenzione culturale. Su questo versante basta applicare integralmente la Convenzione di Istanbul. Attuandola con una pressante campagna informativa, che investa tutte le agenzie educative, di socializzazione e di comunicazione, si dovrebbe mirare a sradicare la concezione proprietaria della donna da parte dell’uomo, che si sente annullato se perde l’oggetto del suo dominio. È perciò necessaria, oltre i singoli e meritori attuali interventi (centri antiviolenza, alcune misure scolastiche), una legge regionale organica di esecuzione della Convenzione di Istanbul attingendo anche a illuminanti esperienze in altri Paesi.

C’è, poi, il dovere dello Stato di indennizzare le persone vittime della violenza, con rivalsa verso l’autore quasi mai nullatenente con facoltà di sequestro e confisca dei suoi beni. Infine, occorrerà che sia riproposta nella forma bicamerale l’indispensabile Commissione di inchiesta, tardivamente istituita dal Senato, che scadrà con la presente legislatura senza alcun risultato. In conclusione, il Consiglio regionale nel suo complesso ha utili indicazioni per sollecitare gli interventi di competenza dello Stato, compresa l’attuazione del ben strutturato Piano nazionale antiviolenza adottato dal ministro per le Pari opportunità nel 2010 e rimasto pressoché chiuso nei cassetti. Ma nel contempo la politica regionale dovrà svolgere interamente il proprio ruolo anche con servizi di prevenzione e di sostegno alle vittime. Questo richiede il popolo sardo, anche perché così si darà riposo alle vittime di muliericidi e forse si eviterà che tante altre seguano.
 

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