La Nuova Sardegna

Oristano

Omicidio Casula, compaesano in carcere

di Enrico Carta
Omicidio Casula, compaesano in carcere

L’allevatore Gavino Madau arrestato mentre era in macchina: accusato d’avere ucciso il 69enne a sprangate nella sua casa

06 giugno 2015
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INVIATO A PAULILATINO. I tubi di ferro tradiscono l’assassino. Alcuni erano nella sua casa; un altro, identico agli altri e sporco di sangue, era stato gettato in campagna. Ma ad aver portato in carcere per omicidio volontario Gavino Madau, allevatore di 46 anni, non è solo questo. Ci sono intercettazioni, ci sono le immagini delle telecamere del Banco di Sardegna, c’è una bugia detta ai carabinieri e c’è un rancore che covava da anni sino ad esplodere in modo violento la notte tra il 30 e il 31 ottobre scorsi.

Quando la vittima, il servo pastore Giovanni Casula (69 anni e lontano parente dell’arrestato), apre la porta di casa, fa in tempo a lanciare un grido. Uno solo, perché, con un tubo metallico di cinque chili, l’assassino gli fracassa il cranio tanto da far pensare, a chi trova il corpo senza vita, che si fosse trattato di una fucilata. L’esame sul corpo chiarirà che il massacro era avvenuto con l’utilizzo di un bastone e proprio andando a caccia di questo, i carabinieri della Compagnia di Ghilarza guidati dal comandante Alfonso Musumeci, della stazione del paese guidati dal maresciallo Casti e dei Cacciatori di Sardegna sono riusciti a risolvere il mistero.

La svolta sembrava vicina sin dai giorni successivi al delitto, quando era stato sequestrato un paio di scarpe ad un vicino di casa della vittima. Si era detto che un litigio avvenuto al bar poche ore o pochi giorni prima, potesse aver fatto salire il sangue alla testa di colui che poi si sarebbe reso autore di un delitto d’impeto. Invece, secondo gli inquirenti coordinati dal pubblico ministero Paolo De Falco, questo non è un omicidio maturato in un lampo. Sarebbe figlio di qualcosa che covava dentro il cuore dell’assassino da anni.

Nel ’99 Gavino Madau era stato denunciato per lesioni, successivamente aveva avuto un problema proprio con Giovanni Casula, il quale aveva ritirato una querela presentata per il furto dell’auto di un amico e nella quale si chiamava in causa proprio Gavino Madau. Ma forse non è nemmeno in questi due episodi del passato che bisogna trovare il movente di un delitto ben più recente. Gli screzi tra i due – e in paese in tanti lo ammettono – erano andati avanti per anni, perché entrambi avrebbero continuato a imperversare nelle campagne. Come se il tempo non fosse mai passato, la parola chiave dovrebbe essere ancora una volta abigeato, pratica che, forse, entrambi non avrebbero disdegnato. Così è più probabile che una divisione non corretta o un’invasione di campo possano aver scatenato la furia omicida.

Ma come i carabinieri sono arrivati sino a Gavino Madau? Il primo passo lo compiono quando le telecamere della videosorveglianza del Banco di Sardegna inquadrano diverse persone. Tra queste c’è la persona finita in carcere che però ignora quel particolare e così mente. Dice di non essere stato al vicino Bar Dille quella sera, invece l’uomo ripreso è proprio lui. È una bugia che insospettisce e allora iniziano altri accertamenti. Si dà il via alle intercettazioni e per ben due volte la casa di Gavino Madau viene perquisita, il 14 e il 17 novembre. Nell’ultima occasione, dopo che era stata esaminata in maniera dettagliata la casa di Giovanni Casula, erano stati sequestrati i tubi in ferro. Erano oggetti “puliti”, ma ne mancava uno, quello che i carabinieri, evidentemente ben orientati, recuperano in campagna. È pieno di sangue e ora che Gavino Madau è in carcere verrà esaminato dagli specialisti del Ris. È la prova che verrà, sono convinti gli inquirenti; è la prova che conterrebbe la firma del delitto.

Intanto Gavino Madau attende che arrivi lunedì, quando il giudice per le indagini preliminari, Annie Cecile Pinello, svolgerà l’interrogatorio di garanzia alla presenza dell’avvocato difensore Marcello Sequi. Potrebbero esserci altre parole da parte dell’indagato che, al momento dell’arresto, avvenuto in via Nazionale, mentre in macchina si dirigeva a casa di un fratello, aveva pronunciato senza che gli fosse domandato alcunché: «Ma io non ho fatto nulla». Un’ammissione di colpa?

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