La Nuova Sardegna

Oristano

Sull’arma del delitto c’è il dna della vittima

di Enrico Carta
Sull’arma del delitto c’è il dna della vittima

Paulilatino, concluso l’incidente probatorio per l’omicidio di Giovanni Casula L’assenza di tracce del profilo genetico dell’indagato non ferma la procura

07 ottobre 2015
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PAULILATINO. Il dna non tradisce: il sangue è della vittima. E questo significa che quel tubo di metallo ritrovato in campagna dai carabinieri dopo l’omicidio di Giovanni Casula, è l’arma del delitto. Questa non è l’unica certezza che regala l’incidente probatorio concluso con la deposizione dei periti, tre carabinieri del Reparto Investigazioni Scientifiche, di fronte al giudice per le indagini preliminari Silvia Palmas. L’altro dato inconfutabile è che sul bastone usato la notte del 31 ottobre scorso per colpire sino ad ammazzare l’allevatore di 69 anni, non ci sono tracce del dna del suo presunto assassino.

In carcere, da luglio, c’è infatti il compaesano Gavino Madau, 46 anni e a sua volta allevatore. Del suo profilo genetico però non c’è traccia sul bastone con il quale fu fracassato il cranio alla vittima. Ma questo smonta l’accusa? Il pubblico ministero Paolo De Falco che ha coordinato l’indagine condotta dai carabinieri della Compagnia di Ghilarza, sembra avere altri elementi in mano. L’assenza di tracce ematiche o di dna della persona oggi in carcere non paiono spostare di una virgola le convinzioni della procura. Tra gli atti d’indagine, evidentemente, ve ne sono altri che pesano parecchio. La sensazione per ora non confermata da alcuno, tanto meno dagli avvocati difensori Marcello Sequi e Gian Luigi Mastio, è che gli inquirenti sappiano chi ha messo l’arma del delitto nel luogo in cui fu poi ritrovata. Era stata infatti nascosta in campagna e a questo punto delle indagini, non è escluso che la traccia del sistema satellitare con il quale venivano controllati gli spostamenti di Gavino Madau portasse proprio in quel luogo.

A indagine chiusa lo si scoprirà, ma intanto resta aperto un altro fronte, proprio quello legato all’utilizzo del rilevatore satellitare. La difesa ritiene che Gavino Madau sia stato indebitamente intercettato, perché il sistema era stato apposto nella sua auto alcuni anni prima nell’ambito di un’altra inchiesta per omicidio. Il dilemma sul quale la Corte di Cassazione deve ancora pronunciarsi è quello della liceità dell’utilizzo di una simile apparecchiatura anche nell’ambito di un’inchiesta differente. La domanda è: «Per quanto tempo un sospettato può essere intercettato? È lecito un controllo senza termine su una persona?»

A seconda della risposta della Cassazione ovviamente anche l’indagine potrebbe prendere determinate strade, perché c’è la possibilità che alcuni elementi, come questo, non ne possano far parte.

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