La Nuova Sardegna

Oristano

Il prodotto locale cerca spazio

di Michela Cuccu
Il prodotto locale cerca spazio

All’ipermercato si vende quasi sempre pane fatto all’estero e scongelato

16 marzo 2016
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ORISTANO. Fresco, freschissimo o surgelato: una volta, il pane era esclusivamente artigianale. Lo si comprava nei panifici che lo sfornavano all’alba. Non tutti i giorni, però: la domenica dovevi mangiare quello del sabato. Adesso, il forno è spesso nell’ipermercato, dove si va a fare la maggioranza degli acquisti quotidiani e c’è anche il pane, spesso caldo. Anche di domenica. Di artigianale però vi è poco: non c’è il panettiere che lo impasta e lo fa lievitare. Quello magari è all’estero, in Francia o in Romania, paesi fra i maggiori esportatori in Europa. All’ipermercato ci sono invece uno o più addetti che scongelano e rifiniscono la cottura in forno, più volte nell’arco della giornata e anche la sera, così che quel pane sia messo in vendita sempre caldo e invitante. Sempre di più gli oristanesi si indirizzano vero questo tipo di prodotto, industriale e molto più economico. La tendenza a non consumare quasi mai pane sardo, è diffusa in tutta l’isola. «Una indagine ha dimostrato come il 70 per cento degli agricoltori sardi mangia pane di farina bianca, che si ottiene dal grano tenero che in Sardegna, non viene coltivato per il consumo umano. Va peggio per i formaggi, con l’80 per cento degli allevatori sardi che condisce le pietanze con il parmigiano reggiano e non con il pecorino: la globalizzazione è anche questo»., Gerardo Piras, tecnico di Laore, esperto di cerealicoltura e da anni impegnato in un progetto di “filiera sarda”, incentrata sull’informazione lo ammette: «È davvero paradossale – spiega – come il pane tipico, vanto della Sardegna, sia fatto con la semola di gran duro che resta spesso invenduta. Magari la si utilizza per l’alimentazione degli animali, ma non diventa pane, come invece dovrebbe». La mancata tutela delle tipicità è un problema serio. «Un marchio, dop o igp ha costi elevati: non può esistere se non c’è un consorzio di produttori di materia prima e di trasformatori. Da qualche tempo – prosegue Piras – agricoltori, molitori e panificatori hanno ripreso ad affrontare la questione, ma il cammino è ancora lungo e nel frattempo, la nostra cerealicoltura fa fatica a resistere».

Piras per conto di Laore tiene corsi nelle scuole per insegnare ai bambini come è fatto il pane e per gli adulti, per la riscoperta del lievito madre e della panificazione domestica. Questi corsi servono da un lato a divulgare una maggior conoscenza da parte dei consumatori, dall’altra, per sostenere e rilanciare la cerealicoltura sarda. Fatiche in parte premiate, con la nascita di consorzi per la tutela del grano duro sardo e sempre più panifici che si orientano verso quella che tecnicamente si chiama «filiera sarda», dove tutto, a partire dalla materia prima, è rigorosamente locale. «È un cammino lungo e siamo solo agli inizi, la scommessa va giocata ma molto difficile vincere. Il confronto è con le produzioni industriali che hanno a loro favore la possibilità di ridurre enormemente i costi e quindi, i prezzi al consumo».

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