La Nuova Sardegna

Oristano

I boss di Massama in viaggio verso casa

di Enrico Carta
I boss di Massama in viaggio verso casa

I continui permessi per far visita ai parenti consentono ai detenuti del carcere oristanese di tornare sino ai paesi di origine

13 agosto 2016
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ORISTANO. Un permesso non si nega a nessuno. Quando però i permessi diventano troppi e si trasformano in consuetudine, seppure nel rispetto delle procedure di legge, rischiano di generare più di un problema perché a chiederli e ad usufruirne non è esattamente lo studentello delle elementari che vuole andare in bagno. Il via vai coinvolge da diverse settimane il carcere di Massama dove, come ben si sa, non risiedono comuni cittadini, ma detenuti dal passato torbido che hanno trascorso periodi di detenzione col regime del 41 bis e che scontano il resto della pena con l’etichetta dell’Alta sicurezza.

Il mese scorso, per una quindicina di volte si è ripetuta questa pratica nel segno del rispetto della territorialità della pena, secondo quanto previsto dalla legge, generando però una serie di problemi e causando notevoli disagi al personale di polizia penitenziaria che, durante la visita alla struttura del sottosegretario Gennaro Migliore e della deputata oristanese Caterina Pes, ha espresso in maniera non ufficiale più di una perplessità su quanto sta accadendo. C’è prima di tutto una questione di sicurezza, ma anche le ricadute economiche e quelle lavorative non passano certo in secondo piano.

La giornata del permesso per ex componenti di associazioni a delinquere – arrivano ovviamente tutti da fuori Sardegna – inizia alle quattro del mattino. La sveglia non suona solo per i detenuti, ma anche per sei agenti che li devono scortare lungo tutto il viaggio che li porta sino alle terre di origine. Lì si trattengono tre ore, il tempo per consumare il pranzo (sempre sotto scorta) assieme ai parenti e agli amici. Tutto questo ovviamente non è in conflitto con quanto previsto dalla legge, che ammette la possibilità di far visita ai parenti nel caso in cui questi, per motivi validi, non possano compiere il viaggio sino al luogo di detenzione. Il tutto deve essere preceduto dall’autorizzazione del magistrato che valuta se concedere il permesso.

Naturalmente distogliere sei agenti dal loro servizio all’interno della struttura oristanese crea notevoli problemi per la gestione del personale i cui numeri sono ridicoli rispetto al carico di lavoro e ai turni che questi devono affrontare. Ci sono poi il discorso della spesa per ogni viaggio che è a carico dello Stato e soprattutto quello della sicurezza, perché tre ore nel proprio luogo d’origine – Sicilia, Campania, Calabria o Puglia che sia – consentono loro di riallacciare rapporti con parenti e amici che mai hanno preso le distanze dai clan. E di certo non bastano sei agenti per impedire conversazioni di un certo tipo. Così lo Stato che si scandalizza per l’inchino delle statuine dei santi durante le processioni di fronte alla casa dei boss, è lo stesso che consegna a boss e affiliati il biglietto per tornare verso casa, aprendo scenari sul fronte della sicurezza pubblica sui quali viene da riflettere. «Anche il pensiero più liberale, in un caso come questo, si scontra con il passato dei detenuti e con le preoccupazioni per la legalità», è il pensiero della parlamentare Caterina Pes.

Riflessioni già fatte dal personale che nel carcere lavora e con questa realtà si scontra tutti i giorni mantenendo la massima professionalità pur in condizioni non agevoli. E come se non bastassero questi problemi, nelle prossime settimane il carico di detenuti speciali su Massama aumenterà ulteriormente. È infatti previsto l’arrivo di un’altra ventina di loro ad aggravare un carico di lavoro che diventa sempre più insostenibile.

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