La Nuova Sardegna

Oristano

Gol africani per l’integrazione due fratelli protagonisti in campo

di Maria Antonietta Cossu
Gol africani per l’integrazione due fratelli protagonisti in campo

Ula Tirso, primo pareggio della stagione per la squadra rinata dopo sedici anni grazie ai migranti Il punto è arrivato contro il Tadasuni. Metà delle reti della gara segnate dai gambiani Lamin e Saja

19 gennaio 2018
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ULA TIRSO. La perseveranza non fa certo difetto alla cenerentola del campionato di Seconda categoria che, dopo dodici sconfitte consecutive, ha colto il primo pareggio. Risultato ottenuto in zona Cesarini con un tiro chirurgico dal dischetto. Il rigore finalizzato all’ultimo secondo da Andrea Serra ha scatenato l’euforia della dirigenza e dei tifosi che, partita dopo partita, hanno sostenuto i loro beniamini, coprotagonisti della rinascita del sodalizio calcistico. Un progetto d’integrazione sociale prima ancora che sportivo, in cui hanno creduto l’organo direttivo della società, i supporters della prima ora e l’amministrazione comunale.

Quella comunione d’intenti aveva permesso ai migranti che fino a dicembre avevano vissuto nel centro d’accoglienza di Ula Tirso di trovare calore umano lontano da casa. La Polisportiva li ha accolti sotto la sua ala protettiva coinvolgendoli negli allenamenti e tesserandone sette per il campionato, inclusi tre ragazzi residenti nella struttura di Austis. L’intesa che si è creata tra dirigenti e atleti italiani e stranieri si è rafforzata fuori dal campo e, al di là dei movimenti di classifica, è proprio la dimensione umana di una squadra nata per divertire e accogliere a dare un valore aggiunto al torneo.

Una missione che, per un incredibile segno del destino, accomuna l’Ula Tirso all’avversario di domenica, il Tadasuni, che già da qualche anno schiera diversi immigrati. E sempre per un insolito concorso di coincidenze, sono stati due giocatori stranieri a decidere le sorti delle rispettive squadre: avversari sul campo ma fratelli nella vita, Lamin e Saja Jatta, scappati dal Gambia e ospitati nelle strutture d’accoglienza di Austis e Norbello. L'attaccante del Tadasuni ha aperto le marcature e il centrocampista dei biancoviola ha compiuto metà della rimonta. È finita 2-2 con l’esultanza della formazione casalinga, che più tardi ha dato vita al terzo tempo trascinando i giocatori del Guilcer nel convivio finale. E poco importa se il sorpasso in classifica è arrivato con la penultima del girone, quel che conta è aver interrotto la striscia negativa che durava da tre mesi e aver ricevuto una bella iniezione di fiducia.

Del resto, una società tornata sulla scena sportiva dopo sedici anni non ha velleità di media o alta classifica. Ma voglia di far bene sì. «È stata una festa, sembrava avessimo vinto la Champions League – ha commentato il presidente Dino Dessì –. Il pubblico ha partecipato con grande entusiasmo, ci ha molto incoraggiato e il risultato ha dato morale alla squadra. Siamo partiti con il presupposto di fare esperienza e non perseguiamo grandi obiettivi, ma nemmeno ci poniamo dei limiti».

Lo scossone provocato dall’improvviso trasferimento dei giovani immigrati dall’agriturismo del paese in altre strutture della provincia sembra essere solo un ricordo. Dopo il disorientamento iniziale la società si è organizzata per consentire ai ragazzi stranieri di proseguire gli allenamenti con il resto della squadra e di disputare le partite. E in questo ci ha messo lo zampino anche la Prefettura che ha acconsentito a trasferire a Norbello un ragazzo inizialmente inviato a Sini. «Ci sono venuti incontro per dare modo al nostro tesserato di continuare a giocare, in sole ventiquattr’ore ha trovato posto a Norbello, dove alloggiano altri tre componenti della squadra. Ma devo dire grazie ai giocatori e ai dirigenti se riusciamo ad allenarci tutti insieme – ha detto Dino Dessì –. La loro disponibilità ci permette di mantenere saldo il legame con i richiedenti asilo, che stanno ritrovando la serenità dopo l’allontanamento da Ula Tirso. Con il vicepresidente Mario Pischedda siamo andati a trovarli il giorno dopo per rassicurarli che non avremmo reciso il cordone ombelicale».

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