La Nuova Sardegna

Oristano

Da S’Attitidu a Giolzi il carnevale di Bosa presenta le maschere

di Alessandro Farina
Da S’Attitidu a Giolzi il carnevale di Bosa presenta le maschere

Nonostante il vento e il freddo grandi e piccini in piazza E a sera inoltrata l’addio col fuoco al re del Karrasegare

14 febbraio 2018
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BOSA. Minaccia pioggia sulla città del Temo, dove dalle prime ore del mattino ieri soffiava un tagliente vento di Grecale, ma nulla ha fermato le prefiche in nero nell’acciottolato del Corso, per il rito di S’Attitidu. Tanti gruppi di giovani e anche bambini, che vestono il nero delle prefiche chiedendo per strada “Unu tichiricheddu de latte,” per salvare lo smembrato pargolo, abbandonato dalla madre degenere, persa nei bagordi del Karrasegare, dalla fame e dalla morte. Irride alla fatale mietitrice con la falce, nello storico e inimitabile scenario ai piedi del quartiere medievale di Sa Costa, a due passi dal Temo, la maschera della irriverente tradizione del mattino nel Carnevale di Bosa. Malgrado gli anni, l’uscita del Martis de Karrasegare mobilita tutti, in una piazza che diventa palcoscenico teatrale popolare. Perché nel chiedere un goccio di latte all’interlocutore, nel ricordare il perché il bambolotto effige dello sventurato neonato è smembrato, nell’esibire con ostentazione più o meno espliciti simboli sessuali, i segni inconsci del rigenerarsi della vita, si innescano racconti e discussioni satiriche legate all’attualità, alla politica, a quanto ha colpito la prefica bosana di S’Attitidu, quando non invettive verso i potenti o le angherie di turno. È festa senza distinzioni, quella delle fila di gementi a Bosa. Queste alzano le loro voci, le urla della nenia funebre, con l’obiettivo di regalare festa e sorriso tra spettatori che diventano essi stessi protagonisti nei quadri di scena recitati in solitaria o in gruppo. Che quello di Bosa sia un carnevale che recita ogni anno un inno alla vita lo dimostra ancora una volta, dall’imbrunire, la maschera bianca di Giolzi. Di certo la più amata dai bambini, che cercano con un colorato lampioncino acceso, indossando una federa per cappuccio e un lenzuolo per mantello, il re del carnevale. Che diventa "Giolzi Moro" per i più grandi: da scovare (cesta in vimini o canna con all’interno una candela accesa per i tradizionalisti o comunque attraverso un qualsiasi congegno che emani luce) dalla cintola in giù, fra le stesse maschere o fra chi è arrivato per vedere il carnevale. La festa è agli sgoccioli, il re del Karrasegare sta per morire, bruciato tra i cento falò accesi per strada o nelle piazza, dopo aver più volte ritmato "Ciappadu, Ciappadu "(trovato, trovato).

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