La Nuova Sardegna

Oristano

Palpeggiò una nipote, condannato a 22 mesi

di Enrico Carta
Palpeggiò una nipote, condannato a 22 mesi

L’episodio in un paese vicino al capoluogo. La ragazzina in vacanza fu approcciata dallo zio ubriaco

04 maggio 2018
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ORISTANO. La nipote in vacanza accese le fantasie probitie dello zio al quale però andò male due volte. La prima quando la ragazzina lo respinse in maniere decisa raccontando tutto ai propri genitori, la seconda ieri pomeriggio quando i giudici hanno sancito la condanna dell’imputato a un anno e dieci mesi per abusi sessuali. Avvenne tutto in un paese a pochi chilometri dal capoluogo due estati fa. La ragazzina giunse in Sardegna assieme ai genitori per trascorrere qualche giorno di vacanza assieme ai parenti. Tutto normale sino alla notte in cui lo zio fece rientro in casa dopo aver partecipato a un banchetto.

Incontrata la ragazzina cercò di avere con lei un rapporto sessuale senza riuscire peraltro a portare a termine la sua opera. Anzi, il poco edificante momento durò lo spazio di vedere respinte le avances perché immediatamente dopo che lo zio fu cacciato di malo modo tutto venne raccontato ai genitori.

Finì con l’inevitabile denuncia alla quale è seguito il processo che in poche udienze si è concluso e ha visto confermate le accuse. La ricostruzione di quel che accadde quella sera ha trovato solo riscontri favorevoli all’accusa, a quel punto tutto si è giocato sulle condizioni in cui l’imputato si era presentato di fronte alla nipote per avere quel che era probito e sgradito alla ragazzina.

Per il pubblico ministero Armando Mammone il palpeggiamento e il tentativo di consumare un rapporto completo avrebbero meritato la condanna a tre anni. I giudici sono stati più morbidi riconoscendo qualche attenuante, ma mai è stata messa in discussione la ricostruzione dei fatti così com’era stata fatta dall’accusa durante la requisitoria pronunciata nella scorsa udienza.

Eppure l’avvocato difensore Massimiliano Carta aveva chiesto l’assoluzione portando all’attenzione dei giudici proprio la condizione di alterazione psichica dell’imputato dovuta all’eccesso di alcol delle ore precedenti. Insomma, la colpa di quel che accadde sarebbe stata tutta di quella cena tra amici in cui vino e birra la fecero da padroni. Secondo la difesa, il goffo tentativo di avere un rapporto non si poteva nemmeno assimilare a una violenza sessuale perché l’imputato, respinto con perdite, nemmeno riuscì a proseguire nel suo approccio.

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