La Nuova Sardegna

Oristano

La comunità di don Usai, il teste chiave: si faceva sesso come in una casa di tolleranza

Michela Cuccu
La comunità di don Usai, il teste chiave: si faceva sesso come in una casa di tolleranza

Arborea, ribadite le accuse al processo contro il sacerdote responsabile della struttura per detenuti "Il Samaritano"

22 giugno 2018
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ARBOREA. «Tutti sapevano delle ragazze che si prostituivano nella Comunità». Sergio Deschino, il meccanico, principale accusatore al processo contro don Giovanni Usai l'ex direttore della Comunità per detenuti “Il Samaritano” e il nigeriano Gabriel Imasidou Osarhewinda, sotto processo per abusi sessuali, è arrivato in tribunale seduto su una sedia a rotelle e scortato dagli agenti della polizia penitenziaria del carcere di Uta dove sconta una pena per altri reati. Sciolte le riserve del collegio giudicante - presieduto da Carla Altieri e composto anche da Luisa Marras e Francesco Mameli - sulle eccezioni sollevate già due anni fa dagli avvocati della difesa, Anna Maria Uras, Franco Luigi Satta e Carlo Figus, che ritenevano come il meccanico non potesse testimoniare in quanto inizialmente indagato nella stessa inchiesta per aver picchiato e costretto ad un rapporto sessuale una delle ospiti della comunità e poi prosciolto, ieri ha risposto per quasi quattro ore alle domande dei magistrati.

Testimone chiave per il pubblico ministero, Marco De Crescenzo, Deschino, fra parecchi “non ricordo”, ha sostanzialmente confermato le dichiarazioni rilasciate ai carabinieri. Lui, testimone diretto, addirittura fruitore del mercato del sesso in Comunità, ha elencato le ospiti della struttura che si sarebbero prostituite; in particolare con tre nigeriane, lui stesso avrebbe avuto rapporti mercenari decine di volte.

Deschino è andato anche oltre, rappresentando “Il Samaritano” non come un luogo di detenzione alternativa ma come una vera casa di tolleranza, tanto da raccontare di aver avuto un rapporto nella camera di una delle ospiti.

«La sera le nigeriane cenavano in fretta e poi, attraverso la campagna raggiungevano la strada dove ad attenderle in auto c'erano i loro clienti. Don Usai poteva vederle dalla sua camera - ha riferito-. Io cercai di salvarne una. Mi disse che voleva andare via, che il sacerdote le faceva avances e che la mafia nigeriana pretendeva 9mila euro, altrimenti avrebbe fatto il woo doo alla sua famiglia. Io, che ero di buon cuore gliene diedi oltre 10mila, la portai a casa come badante, ma lei mi picchiava e così la denunciai ai carabinieri».

Sesso ma anche droga al “Samaritano”: «Ho visto dei detenuti sniffare polvere bianca - ha aggiunto il meccanico rivelando infine: «Il maresciallo dei carabinieri di Arborea mi aveva chiesto di indagare su droga e armi». I legali della difesa si sono riservati di fare il controesame del teste.

Il processo è stato rinviato al 19 luglio.

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