La Nuova Sardegna

Oristano

Divieto di dimora dopo le botte

di Simonetta Selloni
Divieto di dimora dopo le botte

Ingegnere inglese picchia la fidanzata: salvata dai vicini. La polizia interviene con il “protocollo Eva”

13 luglio 2018
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ORISTANO. Ci sono occhi che supplicano aiuto e non riescono a dirlo, ci sono corpi violati e lividi che urlano e raccontano che esiste un solco del non ritorno, del non amore. A questi occhi e corpi di donne maltrattate e abusate servono risposte efficaci, come quella arrivata nei giorni scorsi dalla Squadra mobile della questura di Oristano che ha raccolto elementi sufficienti perché l’autorità giudiziaria emettesse un divieto di dimora nei comuni di Oristano e San Vero Milis nei confronti di un uomo di 48 anni, ingegnere di nazionalità inglese. Questo signore, la settimana scorsa, ha per l’ennesima volta pestato la sua compagna, una donna di un paese dell’oristanese che per anni ha subito violenze e soprusi. L’ultima volta, no. «Abbiamo avuto la segnalazione da parte del pronto soccorso dell’ospedale San Martino dove era stata accompagnata da alcuni passanti, era in condizioni spaventose ma aveva ancora paura di denunciare», ha detto Samuele Cabizzosu, capo della Squadra mobile. Il fatto è che se non fossero intervenuti i vicini, lei, che pure ha riportato ferite – fisiche – che impiegheranno un mese per guarire, ecco, lei non voleva denunciare.

Si è convinta. O forse quando il troppo è insostenibile, anche ogni paura viene meno. Paura delle ritorsioni, di nuove botte. Qualcuna ha paura per i figli, che magari le vengano sottratti. Qui non ci sono figli in mezzo, ma la sopravvivenza. E così la sua storia, la storia di questa donna maltrattata per anni, è piano piano venuta a galla. L’hanno subito aiutata, i poliziotti, e le hanno trovato un posto sicuro al Centro antiviolenza Donna Eleonora.

A quel punto, bisognava decidere cosa fare. Il compagno non si poteva arrestare: passata la flagranza. Ma i poliziotti non hanno dovuto fare altro che aspettare: il giorno dopo l’uomo, pensando che lei fosse in un agriturismo dove lavorava, è andato a cercarla, ha provato a buttare giù la porta, ha urlato e di conseguenza è stato arrestato: violazione di domicilio aggravato, violenza privata. Per una specie di contrappasso, le manette ai polsi gliele ha messe una piccola e decisa poliziotta, e pare che la cosa gli abbia piuttosto dato fastidio. Portato a Massama e scarcerato; ma i poliziotti avevano a quel punto abbastanza elementi raccolti secondo quello che si chiama “Protocollo Eva”. Si tratta di uno strumento che codifica le modalità di intervento nei casi di maltrattamenti in famiglia e consente di inserire nella banca dati della polizia – anche se la vittima non vuole denunciare le violenze subite – informazioni utili a ricostruire tutti gli episodi di violenza domestica che hanno coinvolto una coppia o una famiglia. Diventa cioè un vero e proprio documento di tracciabilità delle violenze: e non è richiesta alcuna denuncia, i fatti parlano da soli.

È andata così. C’erano tutti i segni per procedere per il reato di maltrattamenti in famiglia. Il sostituto procuratore Bagattini ha chiesto e ottenuto dal Gip Pinello la misura del divieto di dimora. Quell’uomo, l’ingegnere “operatore tecnico subacqueo”, non potrà avvicinarsi alla sua compagna. Accolta e al sicuro, lontana da violenze e angherie. Che ancora una volta hanno il volto del compagno, socialmente di livello alto, l’ennesima dimostrazione che la violenza è trasversale e insospettabile. In questo caso, la rete ha funzionato. Eva, chiamiamola così, forse potrà riprendersi la sua vita.

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