La Nuova Sardegna

Oristano

Delitto del lago, c'è un altro amico che sapeva dell'assassinio di Manuel

Enrico Carta
Le ricerche di Manuel Careddu (a sinistra). A destra, dall'alto: Matteo Satta, Christian Fodde e Riccardo Carta
Le ricerche di Manuel Careddu (a sinistra). A destra, dall'alto: Matteo Satta, Christian Fodde e Riccardo Carta

Dopo il ritrovamento del corpo devastato e col cranio fracassato di Manuel Careddu compare un ulteriore nome, un giovane al corrente dell'intera vicenda

18 ottobre 2018
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GHILARZA.C'è un altro nome nell'efferato omicidio del diciottenne Manuel Careddu, il cui corpo è stato trovato col cranio devastato in un terreno in uso al padre di Christian Fodde (uno dei cinque giovani arrestati) a 12 chilometri dal lago Omodeo. È la solita microspia sulla macchina, sempre del padre di Christian Fodde, a trasformare il dubbio in quasi certezza, tanto che ieri 17 ottobre, quando ormai era chiaro che gli inquirenti stavano scavando nel posto giusto, da Ghilarza è arrivato all'ospedale San Martino di Oristano un altro ragazzo.

Ha avuto un malore e c'è chi associa questo allo spavento che l'ha colto nel momento in cui capisce che il suo nome potrebbe essere associato a quello degli altri cinque.

Tutto succede nell’attimo in cui immagina spalancarsi di fronte a sé il baratro in cui sono piombati i suoi amici, che si ritrovano di fronte a loro un lungo futuro con un orizzonte difficilmente diverso da quello delle mura di un carcere.

Il sesto uomo. Come gli altri – lo si capisce dall’ordinanza con le misure di custodia cautelare – è stato intercettato. La sua voce non compare nei dialoghi della notte dell’11 settembre, nelle tre ore in cui si compie il delitto. Spunta invece il giorno dopo, esattamente alle 11.30 del mattino quando nella macchina inizia a parlare con Christian Fodde. Il primo a intervenire è proprio il “sesto amico”. «Siamo rientrati alle 4 con Matte e C.», dice. Sta raccontando di come ha passato la sera prima e con chi. Matte e C. sono Matteo Satta e il minorenne C.N.: il primo è colui che tiene i telefonini in un luogo sicuro, ben distante da quello del delitto in modo da costruire un alibi per l’intera banda; il secondo è il minorenne che invece va in macchina con Manuel Careddu, Christian Fodde e la ragazza G.C. per incontrare Riccardo Carta sulle sponde dell’Omodeo e compiere il piano già organizzato.

Al bar dopo il delitto. C’è un motivo per cui dice di essere rientrato alle 4 del mattino a casa. Sarebbe infatti stato al bar con gli altri due amici che, pur sapendo di avere le mani sporche del sangue di Manuel Careddu, scelgono o cercano di passare una serata tranquilla come se volessero immediatamente cancellare il momento, come se volessero voltare pagina e ripartire, seppure con un cadavere alle spalle. È proprio riagganciandosi a quella prima frase che Christian Fodde si lascia scappare la risposta: «Lo saprai. Le comiche». Cosa dovrebbe ormai sapere il sesto amico è, nelle convinzioni degli inquirenti, il fatto che sia stato commesso l’omicidio.

«Ammazzare non è un gioco». Il dialogo prosegue, mentre i due si recano probabilmente al terreno in cui verrà seppellito Manuel Careddu. È l’amico che prosegue: «Non ho ancora realizzato» e si sta ovviamente riferendo all’omicidio. Più che a una sua partecipazione diretta, la frase farebbe pensare al fatto che gli amici con cui era al bar la notte prima gli abbiano raccontato tutto. Christian Fodde risponde: «Non è un gioco quello di ammazzare, cioè non ammazzare, è il dopo....» e la frase resta lì, sospesa in un vuoto d’anime.

Lo uccidiamo? Ma non c’è solo l’amico al quale i killer hanno raccontato tutto. C’è qualcun altro che conosce la verità e che per questo rappresenta un rischio per la banda. Al punto che si fa strada, nelle conversazioni intercettate dalla microspia, la possibilità di uccidere ancora. Fodde e la 17enne vengono captati mentre parlano di un loro amico «che sa». «Lo uccidiamo?», chiede la ragazza. Lui risponde: «Mi devo sporcare per un essere... arrivederci...». (enrico carta)

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