La Nuova Sardegna

Oristano

L'omicidio di Manuel Careddu: «Non condanniamo le famiglie»

di Maria Antonietta Cossu
L'omicidio di Manuel Careddu: «Non condanniamo le famiglie»

Prima dell’assemblea svoltasi a Ghilarza don Cannavera ha incontrato i genitori di tre dei ragazzi accusati di omicidio

30 ottobre 2018
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GHILARZA. «Devianti non si nasce, si diventa. Non trattiamo i nostri ragazzi da “invisibili”». Il monito di don Ettore Cannavera riecheggia nel silenzio surreale di una sala gremita. Il sacerdote non giudica, ma esorta all’introspezione collettiva. Il suo tono è dolce, ma autorevole. È il buon padre di famiglia che parla. Si rivolge alle centinaia di persone che affollano l'auditorium del liceo, dove ieri si è svolto l’incontro promosso dai Comuni di Ghilarza e Abbasanta e dall’istituto superiore Mariano IV per analizzare il contesto in cui è maturata la violenza sfociata nell’omicidio di Manuel Careddu e cercare la chiave per aiutare i ragazzi a trovare la loro dimensione nella legalità.

Il delitto è stato l’ultimo stadio di un percorso degenerativo latente, un’esplosione di violenza incomprensibile e inaspettata che ha gettato nel baratro anche i genitori degli assassini e dei complici. I padri e le madri di tre di loro, il minorenne e due maggiorenni, hanno confidato la loro disperazione al religioso di Dolianova, che li ha incontrati nel pomeriggio. Don Cannavera si è fatto latore di un loro messaggio, perché la comunità non condannassero le famiglie, ma fossero solidali. «La responsabilità degli sbagli che fanno gli adolescenti e i giovani non è non è soltanto dei genitori, ma di tutti - ha rilevato il fondatore della comunità La Collina -. Noi adulti siamo stati in grado di cogliere il loro linguaggio non verbale, di recepire i segnali del malessere? C'è troppa frammentazione negli interventi educativi, è necessario un patto educativo tra scuole, Comuni, parrocchie, mondo associazionistico. È facile puntare il dito, condannare. Nell’incontro di stamane con gli studenti molti l’hanno fatto. Ma non è giusto. Il patto educativo deve servire per progettare insieme le cose da fare per dare ai ragazzi gli strumenti indispensabili alla formazione e alla crescita in un alveo di legalità, perché l'individuo si realizza nelle relazioni sociali e quando non percepisce attorno a sé considerazione, va a cercarla nel mondo della droga, dell'alcol, dell'illegalità».

Riflessioni condivise: «Dobbiamo fare uno sforzo per trovare un linguaggio con il quale entrare in sintonia con i giovani», ha convenuto Paola Manca, docente di uno dei presunti colpevoli. Antonella Della Ventura ha rilevato la necessità di riaffermare il ruolo di genitore: «Occorre dialogare. Non essere sempre indulgenti, ma quando serve dire dei no e motivarli».

«Giovani e adulti - ha esortato l'assistente sociale Giulia Crabolu di Ozieri - non devono aver paura di chiedere aiuto».

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