La Nuova Sardegna

Oristano

Genoni, due musei per raccontare il passato

di Michela Cuccu
Genoni, due musei per raccontare il passato

Paleontologia ed etnografia mettono in luce i “gioielli” nascosti della Giara

01 dicembre 2018
3 MINUTI DI LETTURA





GENONI. Un parco, due musei e un convento abbandonato: a Genoni poco più di 800 abitanti fra Barbagia e Sarcidano, si sono attrezzati bene per raccontare la loro storia. Erano gli anni Ottanta e a Duidduru, si estraevano massi di calcare per costruire la nuova strada per la Giara. È durante quei lavori che la montagna inizia a rivelare una storia rimasta custodita per più di 500 milioni di anni.

Masso dopo masso, assieme al calcare, spuntano fuori enormi concrezioni di fossili: ci sono ricci, conchiglie ed altri esseri ormai scomparsi. A seguito del taglio netto e perpendicolare, la collina assume l’aspetto di una mappa: che permette anche al profano, di distinguere le fasi geologiche di questa terra: i terremoti, le eruzioni dei vulcani e i maremoti. Perché prima che nascesse la Giara, questo era un mare tropicale. La cava viene bloccata, l’area protetta e recintata: ora è un parco Geopalentologico, come pochi al Mondo, unico in Sardegna. Più tardi, su un colle che domina la Giara, nascerà il museo, o meglio, il Paleo Archeo Centro, che oltre a custodire gli straordinari fossili trovati a Duidduru e i minerali, permette ai visitatori uno sguardo più in profondità.

Al microscopio, con gli stessi strumenti di precisione utilizzati dai paleontologi, ci si può cimentare a separare un fossile dalla pietra, ma anche realizzare una copia dei bronzetti ritrovati nell’area archeologica di santu Antine, dove esiste il pozzo nuragico (sul cui fondo vennero rinvenute ben 1400 monete lasciate li come voto) che non soltanto è il più profondo mai scoperto, ma è anche l’unico stato dotato di un tetto, proprio come un tempio. Il plastico dell’area archeologica e le immagini dell’interno del pozzo sacro, sono solo una parte di quanto è possibile scoprire al museo.

L’ultimo “nato” è il museo etnografico dedicato ai rarissimi cavallini selvaggi: simbolo per antonomasia della Giara, la Regione, arrivata sul filo di lana, solo una trentina di anni fa decise di strappare all’estinzione. Il museo, ospitato a Casa Serra, appartenuta ad una dinastia di allevatori di buoi da lavoro e successivamente acquistata e restaurata dal Comune, attraverso una straordinaria raccolta di attrezzature, oggetti della vita quotidiana, della cucina ai torchi per il vino, i carri di legno, gli erpici, compresi gli abiti, racconta la vita di una comunità agricola che non esiste più.

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:site:1.17520593:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/image/contentid/policy:1.17520593:1653500601/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]

Soprattutto racconta dei cavallini e rivela come in realtà, is cuaddeddus, non sempre sono stati liberi e che prima della meccanizzazione agricola venissero utilizzati per trebbiare il grano. «Erano animali economici e frugali: venivano catturate le femmine e in branchi di venti si legavano una accanto all’altra con una corda “a cadena” e si facevano girare in tondo fino quando tutti i chicchi erano stati liberati dalle spighe del grano», spiega Michele Zucca, curatore del Museo del Cavallino e componente della cooperativa Giunone che ha in gestione il complesso delle strutture museali e monumentali del paese.

Un patrimonio che il Comune, facendo tesoro dei suggerimenti di studiosi attirati fin qui da tanta ricchezza scientifica e dalla volontà di alcuni abitanti, ha deciso di proteggere e gestire quasi tutto con i fondi del proprio bilancio. Il viaggio a ritroso nel tempo si conclude fra i ruderi del convento dei frati minori. È dal panorama che si apre sulla Giara che si può godere dalla veranda ci si rende conto perché i monaci si fossero fermati a Genoni per avvicinarsi a Dio.
 

Video

Raggiunto l'accordo per la Giunta, Alessandra Todde: «I nomi degli assessori subito dopo Pasqua»

Le nostre iniziative