La Nuova Sardegna

Oristano

Fiore sardo, un appello all’unità

di Piero Marongiu
Fiore sardo, un appello all’unità

L’invito del Consorzio di tutela del formaggio dopo la protesta di un produttore per il prezzo basso

06 dicembre 2018
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MARRUBIU. «Non si può non essere solidali verso il produttore che ha visto, dapprima deprezzare il proprio prodotto poi subìto la beffa di vederlo nei banconi di vendita di un supermercato ad un costo molto diverso rispetto a quello da lui spuntato». A parlare è Antonio Sedda, presidente del Consorzio di tutela del Fiore sardo, che conta una ventina di associati su oltre quaranta produttori, e il riferimento è alla forma di protesta attuata da Giandomenico Sedda, che quel tipo di formaggio lo produce e lo vende per conto suo. Sedda, martedì scorso, aveva gettato a terra alcune forme pronte per la stagionatura perché sdegnato dal prezzo troppo basso imposto dai grossisti che lo commercializzano.

«Pur comprendendo la rabbia del produttore - spiega Sedda -, questa non deve scaricarsi sull’ente certificatore perché esso rappresenta la chiave di volta del sistema. Si tratta infatti dell’organismo che si fa carico, attraverso i sistemi di controllo, di certificare che la produzione rispetti tutti i requisiti del disciplinare. Una forma di garanzia per il produttore e per il consumatore. Tutte le verifiche fatte rappresentano un compromesso che deve essere rispettato e mantenuto da tutti i produttori».

Ma, almeno stando alla presa di posizione di Giandomenico Sedda, il problema non sono i controlli e le verifiche effettuate dagli ispettori nei luoghi di produzione, bensì la scarsa attenzione della Regione verso un tipo di formaggio a marchio Dop, cosa che lo differenzia da un formaggio generico, particolarmente apprezzato dai consumatori e che la politica dovrebbe proteggere di più e meglio.

La produzione del Fiore sardo è di circa 6mila quintali all’anno, l’80 per cento del quale è commercializzato dagli associati al Consorzio mentre il rimanente 20 per cento viene venduto direttamente dai produttori che sono autorizzati a produrlo, ma per poterlo fare devono rispettare il disciplinare di tutela e pertanto sono soggetti ai controlli e alle verifiche periodiche da parte dell’ente certificatore.

«Il Consorzio non commercializza il formaggio, non può neppure farlo - precisa Antonio Sedda -. Il suo compito è quello di tutelare e valorizzare il marchio. Non fa neppure differenze tra produttori iscritti e non iscritti. Svolge attività di promozione e favorisce, attraverso la sua organizzazione, l’individuazione di nuovi mercati verso i quali indirizzare e vendere il prodotto. Se i distributori fossero coesi e uniti tra loro non sarebbero vulnerabili e certe forme di speculazione verrebbero a cadere».

Il Consorzio dunque si offre come strumento e luogo ideale per creare strategie di commercio. «Se tutti i produttori ne facessero parte potrebbero avere voce in capitolo anche nella gestione del marchio e non subire le speculazioni che stiamo vedendo adesso - conclude Antonio Sedda -, che sono esclusivamente figlie della disunione presente attualmente».

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