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Oristano

Odio, amore e rispetto: tra uomini e animali sfida per sopravvivere

Odio, amore e rispetto: tra uomini e animali sfida per sopravvivere

Quando un pescatore liberò un delfino da una corda «Come per ringraziarci fece una sorta di danza gioiosa»

12 dicembre 2018
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CABRAS. «Era davvero strano quel delfino: da due giorni girava attorno alla mia barca: solo quando mio figlio notò che trascinava una lunga corda che gli si era attorcigliata alla coda, ci rendemmo conto che stava chiedendoci aiuto. Ma noi non sapevamo davvero come fare. Il giorno dopo fu il delfino a trovare la soluzione. Ce ne accorgemmo al momento di tirare su le reti».

È una storia accaduta qualche anno fa, ma il protagonista Mario Fanari, 56 anni, pescatore di Cabras, non ha mai dimenticato quegli istanti. «Il delfino si era avvicinato tanto fino ad agganciare la corda alla rete. Allora feci in modo di accostarlo al bordo della barca, pur sapendo che quella che stavo per compiere era una manovra pericolosissima, afferrai un coltellaccio per recidere le corde che lo imprigionavano. Nell’attimo di quella manovra, i nostri sguardi terrorizzati, si incrociarono. Io di paura ne avevo tantissima: un delfino maschio, adulto, pesa quasi due quintali e gli sarebbe stato sufficiente un movimento della coda per uccidermi. Anche lui aveva paura di morire: temeva il mio coltello e mi guardava quasi supplicandomi di non fargli male. Con il cuore in gola riuscii a recidere quella corda e a liberarlo. Una frazione di secondo dopo, lui tirò su la coda e la osservò per accertarsi che fosse vero. Poi si immerse in acqua per ricomparire pochi metri più in la. A quel punto si tirò su. Agitando le pinne, fece la sua marcia di gioia, all’indietro, ritto sull’acqua fino a quando non lo vedemmo più: era il suo modo di ringraziarci».

I pescatori sanno che i delfini sono intelligentissimi e li rispettano. «Sono come persone - dicono .-Anche quando ci distruggono le reti, provocando danni enormi, non li odiamo. Siamo noi i predatori del mare».

«Il delfino è a casa sua - aggiunge Aldo Caddeo -. Lui vuole mangiare ma anche noi abbiamo le nostre famiglie da mantenere».

Una competizione per la sopravvivenza che rende difficilissima la vita dei pescatori del Golfo. «Io, per un lungo periodo, sono arrivato a non dormire – racconta Carlo Erdas –. I delfini avevano distrutto più volte le mie reti e non riuscivo più a prendere sonno: quando cercavo di chiudere gli occhi, continuavo a pensare dove e come avrei potuto sfuggirgli. Ma i delfini sono astuti e il mare è il loro ambiente: sapevo di essere perdente».

Per il pescatore, privato dal sonno, era diventata una vera ossessione. «Dopo tante settimane, una mattina decisi che dovevo reagire – racconta – andai al porticciolo e, messa in moto la barca, mi allontanai al largo diretto dove credevo i delfini non ci fossero. Ma quando arrivai lo vidi arrivare e mi colse la paura. Allora mi accovacciai sul pavimento della barca per nascondermi. Pensai che non vedendomi, il delfino pensasse che non sarebbero state calate le reti e si sarebbe allontanato. Non so per quanto tempo rimasi così, immobile sperando che se ne andasse. Quando mi resi conto che tutto era inutile, gettai le reti: anche quella volta vinse il delfino». (m.c.)

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