La Nuova Sardegna

Vita da pastori a Orune: "In piedi dalle 4 del mattino ma senza soldi in tasca"

Nadia Cossu
Vita da pastori a Orune: "In piedi dalle 4 del mattino ma senza soldi in tasca"

06 settembre 2010
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ORUNE. Un portamento fiero, da donna abituata a combattere. Si siede in poltrona e dice: «Ora mi sfogo, ca no si podet annare a dainnantis goi». Vestita a lutto, Marietta Brau, 62 anni, di Orune, da quando è morto il marito si sveglia tutti i giorni alle quattro del mattino. Va all'ovile.

Settecento pecore e cinquanta vacche da mantenere. Per mantenersi. Lavoraccio quotidiano che Marietta fa insieme ai tre figli maschi di 38, 37 e 34 anni. Tempra robusta, anche se a 62 anni non è facile tenere questi ritmi. Lei lo fa, non può permettersi il lusso di restare a casa un solo giorno: «Non esistono Natale, Pasqua o Capodanno». La crisi c'è e si fa sentire più che mai quando arrivano le bollette dell'acqua e della luce da pagare, quando si è costretti a contare anche i centesimi ogni volta che si decide di comprare qualcosa. Ha mai pensato di mollare tutto? «E izzos meos a ube bana? (i miei figli dove vanno? ndc). Non hanno studiato e questo è il loro lavoro. Per forza dobbiamo tirare avanti così». Dove «così» significa lavorare, sudare, ma non guadagnare. Troppo alti i costi di produzione, troppo bassi i profitti.

La storia di Marietta Agnese Brau è la stessa di molti pastori sardi. Quelli che da mesi stanno portando avanti una battaglia per la sopravvivenza. Gli orunesi, nelle manifestazioni per la Sardegna guidate da Felice Floris, sono sempre in prima fila. Organizzatissimi, con il sindaco Francesca Zidda in testa a urlare cosa non va nella politica della Regione. Il Movimento si è mosso in forze: migliaia gli allevatori sardi che hanno protestato a Elmas, Tramatza, Alghero, Olbia e Porto Rotondo. E loro, gli orunesi, c'erano sempre. Anche perché è un paese dove la pastorizia è settore dominante. «Su 2600 abitanti - dice Luigi Deiana, neoeletto consigliere provinciale - più di un terzo sono pastori e 360 sono le aziende agricole censite».

Ancora una volta si parla del latte. «Nel 1976 ce lo pagavano 1400 lire - dice la signora Marietta - e il prezzo saliva ogni anno. Poi chin s'euro ana mortu a tottus. Se ci pagassero bene il latte sarebbe tutto diverso. Invece ci danno una miseria e sbarchiamo il lunario grazie ai premi comunitari». Ma il latte, naturalmente, non è che una delle ragioni che hanno ridotto in questo stato il settore zootecnico sardo. «Per la lana ci danno venti centesimi al chilo, nulla cioè. E vogliamo parlare della carne? Prima di Natale o Pasqua l'agnello te lo pagano quattro euro, dopo le feste scende a due e anche a 1,50 euro». Se a questo, poi, si aggiungono i mangimi, il gasolio per i mezzi agricoli, l'eventuale manodopera esterna per i lavori di manutenzione dei terreni agricoli, i conti sono presto fatti: «La tosatura delle pecore la facciamo noi proprio per risparmiare. E il fieno lo ha tagliato e raccolto mia figlia perché chiamare un operaio costa. I soldi non bastano e la mia pensione di 500 euro dei coltivatori diretti - dice Marietta - serve per pagare le bollette e mantenere la casa».

In paese l'argomento crisi tiene banco davanti ai bar e al Municipio. Sono assetati di notizie i pastori orunesi. Seguono sui giornali le ultime novità e aspettano di sapere cosa verrà fuori dalla battaglia di Felice Floris: «Perché le associazioni di categoria non sempre ci considerano e la politica lasciamo stare, a loro la pastorizia interessa soltanto prima delle elezioni».
Angela Maria Masala e Santina Meloni sono rispettivamente figlia e moglie di pastore. «Il mondo delle campagne è cultura, questo si dovrebbe capire. Le tradizioni le teniamo vive noi e se muore la pastorizia trascinerà con sè nel baratro tanti altri settori». C'è anche chi, per respirare un po' di più, ha scelto di "diversificare". «Abbiamo aperto un agriturismo - racconta Angela Maria - dove utilizziamo rigorosamente i nostri prodotti. Questa attività ci aiuta a vivere meglio». «Io - dice Santina, due figli, moglie di un pastore - lavoro in un bar per arrotondare. Diciamo la verità: se non ci fossero i genitori ad aiutarci non ce la faremmo. Le cartelle esattoriali da 50mila euro, con il 300% di interessi sono lì che aspettano». Aspettano di essere pagate, naturalmente. Cosa che non accadrà. «E come facciamo? Sono le multe della Forestale accumulate nel tempo». Rincara la dose Angela Maria Masala: «Proprio la Forestale ci ha rovinato, perché vieta di toccare il sottobosco. Noi volevamo pulirlo, fare un'aratura superficiale. In questo modo infatti il terreno renderebbe di più, potremmo coltivarlo. Ma non possiamo». E se lo fai vieni sanzionato.

«In vent'anni abbiamo investito centinaia di migliaia di euro - dicono Angela Maria e la mamma Giovanna - per i capannoni, le mungitrici, l'agriturismo, la luce. Abbiamo in azienda 480 pecore, 60 capre, 10 vacche e se riusciamo ad andare avanti è perché risparmiamo non comprando il pane, che facciamo in casa, la carne e il formaggio. Il latte sa quanto ce l'hanno pagato gli industriali? Ventinove centesimi. E ci devono ancora dare giugno, luglio e agosto».

Per questo anche loro sono in prima fila nelle mobilitazioni di queste ultime settimane. «Se non cambierà qualcosa al più presto sarà difficile continuare a mantenere un'azienda».
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