La Nuova Sardegna

La città dei poveri, cinquecento in fila per sfamarsi

Luigi Soriga
La fila davanti alla Casa della Fraterna Solidarietà in corso Regina Margherita (foto Nuvoli)
La fila davanti alla Casa della Fraterna Solidarietà in corso Regina Margherita (foto Nuvoli)

Sassari, ogni mattina l'assalto dei bisognosi alla Casa della Fraterna Solidarietà. Licenziati, separati, immigrati: "Per tutti c'è un sacchetto"

01 marzo 2011
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SASSARI. Una volta i poveri erano di meno, poche presenze familiari nei quartieri. Ora sono una folla, una sola sfortuna con tanti volti diversi. Corso Regina Margherita ogni mattina sembra un angolo di città dolente. Dieci giorni fa due donne si sono prese a botte per un posto in fila.

Il portone della Casa della Fraterna Solidarietà apre alle 9.30, ma già alle 7 lì davanti c'è qualcuno che aspetta. Sa bene che alle 10.30 saranno in troppi, perché cinquecento anime affamate sono tante da accontentare e qualcuno resterà a bocca asciutta. Il portone, a metà mattina, spalanca un piccolo privilegio: la possibilità di mangiare gratis.

Quattro panini, due pacchi di pasta, quattro yogurt, ogni tanto pelati, latte e, quando va bene, ci scappa anche una fetta di formaggio. Chi ritira la busta fa due passi, e poi apre il sacchetto, curioso come i bambini con l'ovetto di cioccolato, perché ogni piccola variazione di quel sostentamento quotidiano è una sorpresa. È stata l'onda lunga della crisi a depositarli uno dietro l'altro sul marciapiede, come una risacca che si distende per trenta metri. Ma a parte i litigi (quelli accadono anche alle Poste) non si pensi a un'umanità triste, silenziosa, o peggio ancora lamentosa e rassegnata.

I sassaresi hanno una singolare grammatica della povertà, e declinano le loro disavventure con ironia. Un ragazzo, con le guance consumate e sporche di barba, è in ritardo. L'amico, che ancora non lo aveva visto, lo guarda e ticchetta sull'orologio. E lui, serio: «Lo so - dice - ma ero in banca a depositare i milioni». Una signora vanta le sue prodezze culinarie: «Ieri ho fatto certe polpette di pane fritto». E l'altra: «Comunque a mangiare poco ci si guadagna. Guarda che linea».

In fila ci sono soprattutto anziani. Ci sono quelli in cui la povertà ha radici lontane, si legge sul volto, sulla pettinatura, sull'odontoiatria sgangherata, sull'accostamento improbabile dei colori. C'è una ragazza che forse non ha vent'anni, magra come un filo d'aria dentro una felpa. C'è la mamma, stessi occhi ma molti chili in più. Ma dopo mezzora si mette in coda anche la nonna. Tre generazioni cucite in un unico destino: è la povertà cronica, prestampata nel dna, senza possibilità e forse voglia di redenzione.

Ma c'è anche chi non vuole indossare la miseria, e resiste con grande dignità. Una signora ha i capelli bianchi, messa in piega impeccabile, porta occhiali e rughe eleganti. Serafica aspetta il turno. Dice: «A me la pensione basterebbe. Con 500 euro ci campo. Ma da due anni mia figlia vive di nuovo con me, si è separata e ha portato a casa due bambini. Senza quest'aiuto non possiamo farcela».

Basta niente per essere risucchiati nel buco nero della povertà. Un padre perde il lavoro, oppure divorzia e deve garantire gli alimenti, oppure accade un incidente, un'invalidità, e dal benessere precipita sulla soglia della sussistenza. I volontari hanno sentito tante volte queste storie troppo uguali, che suonano come un rosario della sventura.

In mezzo alla fila colpisce un giovane, è isolato nella sua bolla di musica e di introversione. Ha gli auricolari, è sbarbato come dovesse andare al lavoro, ha quarant'anni, è ben vestito. «Quando ti licenziano e hai una famiglia da mantenere - dice - non puoi fare tanto lo schizzinoso. Ti sbatti da una parte all'altra, bussi per un lavoro, non trovi niente ma il pane a casa devi portarlo comunque. Allora ti arrangi, ed eccomi qua. E mica mi vergogno».

Appena si apre il portone la coda si assottiglia rapidamente, perché la solidarietà è una catena di montaggio: il tempo di afferrare la busta, un sorriso e un grazie. Molti sacchetti, tutti gialli e tutti uguali, finiscono subito dentro altre buste, oppure spariscono dentro i trolley, perché i migranti della sopravvivenza spesso preferiscono mimetizzarsi col benessere e viaggiare in incognito. Gli autobus li scaricano a frotte, e la fila si rimpolpa a velocità impressionante. Qualcuno arriva in scooter o in motocarrozzella. Qualcun altro ha l'automobile.

«Per noi tutti sono uguali - dicono i volontari - anche se si presentasse il sindaco, avrebbe il suo sacchetto. Un momento di bisogno può capitare a tutti. Del resto Gesù non ha mai chiesto il 730 o l'Isee per i suoi miracoli, e Don Bosco diceva: fatevi imbrogliare dai poveri».

I senegalesi sono pochi, allungano la mano solo se disperati. I marocchini, dicono i volontari, sono più sfrontati. La povertà cala sulla geografia in maniera molto democratica, ma ogni cultura la veste diversamente. Per i rom è un abito mentale, le danno del tu, sono a loro agio nel ricevere aiuto. I romeni e le donne dell'Est sono taciturni e malinconici. Il povero sassarese, o meglio, "lu povaru" sassarese, invece si attribuisce una sorta di status giuridico. È più povero degli altri poveri, soprattutto di zingari ed extracomunitari, e in quanto povero è portatore sano di una sfilza di diritti: il cibo a sbafo, la casa gratis, le bollette pagate, un lavoro (ma possibilmente non troppo faticoso). E non è facile accontentarlo.

Ma lui non si dà per vinto. Bussa al Comune e riceve un aiutino, una visita alla Caritas e rinnova il guardaroba, fa il giro delle sette chiese e torna a casa con la pancia piena e una bombola del gas. Nessuno, in verità, (e per fortuna) muore di fame. Molte anziane, dopo aver nascosto nel trolley il sacchetto in omaggio, si incamminano verso i discount. Sono gli ultimi fortini del potere d'acquisto, dove con una manciata di euro si condisce la pasta e si imbottisce il pane.

Il pomeriggio, invece, alla Casa della Fraterna Solidarietà si pensa al guardaroba. Le badanti fanno incetta di abiti che spediranno a parenti lontani, le rom detestano il nero e vanno matte per maglioni e gonne multicolore che poche altre donne oserebbero indossare. Una ragazza sassarese trova addirittura l'abito bianco per il suo matrimonio. E anche se la sua esistenza è in riserva fissa, almeno per un giorno fa il pieno di felicità.

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