La Nuova Sardegna

L'olio di Escolca e la ricetta magica del giovane sindaco

Eugenio Lai In basso il sindaco di Escolca il giorno del gemellaggio con Rub Thletine, una cittadina del Lbano meridionale
Eugenio Lai In basso il sindaco di Escolca il giorno del gemellaggio con Rub Thletine, una cittadina del Lbano meridionale

18 luglio 2011
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 ESCOLCA. «Impegnarmi in Comune per il mio paese? L'ho sognato fin da bambino ed eccomi qui». Eugenio Lai, venticinque anni, Sinistra e Libertà, è il nuovo sindaco di Escolca: il più giovane dell'Isola (primato condiviso con l'amico Alessio Mandis di Gonnostramatza).  «Ho sempre avuto la passione politica», racconta. «All'età di quindici anni mi sono iscritto al Pds, federazione ogliastrina: Escolca era l'ultimo paese della Provincia di Nuoro, faceva capo all'Ogliastra.  Nella federazione giovanile ho avuto compagni che facevano gli amministratori a Jerzu, Arzana, Lanusei. In quel gruppo mi sentivo invogliato a fare.  Lì ha preso corpo il desiderio di provare una esperienza amministrativa. La nostra è un'anomalia: oltre al giovane sindaco, ci sono sei donne su nove in maggioranza, in giunta due uomini e due donne. Anche il vicesindaco è donna».  - La minoranza?  «Qualche volta collabora. Ma non fa ostruzione, si può dialogare».  - - Com'è nata, in concreto, la tua candidatura?  «E stata una nascita spontanea. Era necessario cambiare marcia: la maggioranza uscente di centrodestra aveva curato l'ordinaria amministrazione. I giovani stavano fuggendo da Escolca».  - Spopolamento?  «Escolca è arrivato anche a superare i novecento abitanti, adesso siamo 623, l'ultima residente acquisita è una persona conosciuta: la poetessa Teresa Piredda, emigrata anche lei, a Perugia, una figura che negli ultimi anni si è imposta all'attenzione del grande pubblico per aver vinto numerosi concorsi letterari, compreso quello di Ozieri, vinto nel 2005. Siamo contenti che sia tornata a casa».  - Escolca si distingue per la produzione dell'olio extravergine di oliva. Voi ci credete, come amministratori? Quanto?  «Olio è una parola magica. La mia amministrazione crede e investe in questa risorsa. Quest'anno siamo arrivati alla seconda edizione della festa dell'olio, abbiamo fatto prima edizione della gara di mountain bike per le vie dell'olio, nell'ultimo consiglio comunale abbiamo aderito all'associazione 'Città dell'olio'. È sicuramente un'idea di sviluppo, però non bastano le due società che abbiamo, 'Sa mola' e 'Corti de olias', anche se producono olio ottimo».  - Che cosa proponete?  «L'ideale sarebbe una cooperativa. Soltanto con l'unione delle forze - non più l'uomo solo, in campagna- si può garantire un elemento basilare: la quantità. Ovviamente è altrettanto fondamentale la qualità, che già contraddistingue l'olio di Escolca».  - C'è però il solito problema dell'eccessivo frazionamento dei terreni. O no?  «Giusto. Escolca non ha una grande estensione territoriale, il problema principale è costituito dai mini-appezzamenti. Nel nostro programma l'accorpamento fondiario è un problema essenziale. Se un agricoltore ha un appezzamento vasto non è costretto a spostarsi da una parte all'altra: perderebbe più tempo e i costi crescerebbero».  - Ma non basta un agricoltore solo, l'hai appena detto.  «Certo che non basta. Un uomo solo non può seguire tutto, dalla raccolta delle olive alla produzione: occorre arrivare alle specializzazioni. Per ottenere la denominazione di origine protetta (dop) occorrono determinate caratteristiche. Proprio grazie alla comune vocazione all'olio siamo gemellati con un Comune del Libano meridionale, Rub Thletine, anche se loro sono indietro di mezzo secolo: laggiù potrebbe servire l'agricoltore di Escolca che pota le piante di ulivo a regola d'arte».  - In concreto che cosa si muove già?  «Sta per partire un corso di formazione professionale finanziato dalla Regione sugli antichi mestieri, in collaborazione con un oleificio: Cadoni, marchio 'Sa Mola'. Avrà il compito di formare i giovani diplomati lungo il percorso che va dalla raccolta alla macinatura».  - Formazione a parte, quale altro problema avete?  «Il principale è quello di riuscire a cambiare una certa mentalità, che faceva vivere di assistenza. Era sbagliata anche la politica europea: per un certo periodo ha premiato anche chi lasciava incolto il suo terreno. La gente era incentivata. Diceva: se io me lo coltivo, magari sono in perdita: debbo affrontare i rischi degli incendi, mi accontento dei contributi, anche se scarsi, perché sono sicuri».  - Adesso non è più così?  «Per fortuna no. Oggi l'Europa è per una politica economica creativa, viene premiato solo chi coltiva. Ma la Sardegna è uscita dall'obiettivo uno perché ha la Saras e la Costa Smeralda. Roba da matti».  - A parte l'olio, cosa offre Escolca?  «Se parliamo di agroalimentare, siamo una potenzialità ancora inespressa. A febbraio sono usciti i de minimis: si sta aprendo un'attività che riguarda i carciofini sott'olio, produzioni prima impensabili mentre se andiamo nella montagna pistoiese vediamo che comprano i carciofini da noi e poi ce li rivendono confezionati. Sarebbe ora che anche noi ci svegliassimo».  - I cereali?  «Un'altra nostra grande potenzialità. Abbiamo dell'ottimo grano Cappelli: quest'anno viene pagato a cinquanta euro al quintale, però non è sempre così. Occorrerà unirsi e pensare all'accorpamento fondiario. Con piccole produzioni si è succubi del mercato, con una grande produzione si contratta. Se poi si crea un mulino che trasformi il grano in farina, il discorso diventa ancora più serio».  - Bestiame?  «Poco. Non abbiamo grandi superfici pascolative. In compenso, si tratta di pecore di ottima qualità. Nelle fiere i nostri allevatori vincono premi importanti».  - Artigianato?  «Qualche tessitrice e in più un signore che fa bellissime ceste e cestini di olivastro: quest'ultima è una vera e propria rarità. I manufatti sono bellissimi».  - Dulcis in fundo: viticoltura?  «Vino se ne produce, ma si tratta di produzioni domestiche. Si vende a vil prezzo. Ma anche in questo settore c'è sempre il problema della costituzione delle cooperative. Possibile che in Sardegna una cooperativa debba essere in numero dispari inferiore a tre?»  Domanda ironica, ma non troppo.
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