La Nuova Sardegna

Piero Delogu, pioniere dell'impiantistica al servizio dei pastori

Piero Delogu, 49 anni, nel suo vigneto In basso con Piero Marras nello stabilimento di Cargeghe
Piero Delogu, 49 anni, nel suo vigneto In basso con Piero Marras nello stabilimento di Cargeghe

12 settembre 2011
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 CARGEGHE. «L'evoluzione è determinante, non si può rimanere fossilizzati in quello che si fa la prima volta»: più che una dichiarazione di intenti è un'idea fondante tradotta nel lavoro di tutti i giorni da un giovane imprenditore di Ittiri: Piero Delogu, classe 1962. «Ho cominciato con gli impianti di mungitura ma quando ho capito che si stava arrivando alla conclusione ho deciso di fare altro». Sintesi di una narrazione ispirata alla franchezza e all'autocritica, seppure nel segno di una autostima misurata e composta: «Dopo il diploma tecnico mi si è presentato il dilemma: faccio l'università o no? Anno 1985. Mi sono reso conto che in Sardegna era tempo di lavorare sugli impianti di mungitura degli ovini. Ho deciso così e oggi sono felice di averlo fatto. Inizialmente ho lavorato per conto di un'altra azienda ma subito mi sono posto una domanda: perchè non produciamo qui gli impianti di mungitura?».  - Che risposta hai trovato?  «Dopo qualche mese ho mollato quell'azienda e ho progettato un impianto, partendo da zero. Ho copiato alcune cose importanti, altre nuove le ho fatte io. Ho perfezionato la parte elettronica e studiato sistemi d'avanguardia».  - I concorrenti?  «Agguerritissimi, ma non mi spaventavano. I sacrifici erano immensi, solo chi parte dalla tabula rasa e senza soldi può capire. Io gli impianti li progettavo, li costruivo, li vendevo, li montavo, curavo anche l'assistenza tecnica. Avevo contatti con le aziende fornitrici di piccoli particolari, allora internet non c'era: occorreva girare la pianura padana per trovare tutte quelle cose».  - Il sacrificio maggiore?  «Costruire l'impianto: era semplice andare dalla concorrenza e comprare un pezzo già fatto però lo pagavi molto e alla fine non eri competitivo».  - L'alternativa?  «Ho dovuto progettare tutto, nei minimi particolari, fare gli stampi e poi assemblare l'insieme. Ho cominciato nel mio paese, in un piccolo garage, dove sono rimasto due-tre anni. Una volta, agli inizi, sono stato venti giorni a Pula per montare un impianto».  - Maestri?  «Nessuno mi ha insegnato nulla, ho studiato in solitudine. Le difficoltà c'erano, gli impianti creavano problemi. Ho dovuto capire bene anche la morfologia della pecora per progettare le tettarelle. Mi sono adeguato, per sette-otto anni ho lavorato sodo, i sacrifici c'erano ma alla fine hanno pagato».  - Avevi una linea aziendale?  «Diciamo di sì, ma era un'intuizione più che una filosofia. Una cosa importante è stata questa: quello che guadagnavo lo reinvestivo nella azienda, completamente. Per anni non ho fatto altro. Poi da Ittiri mi sono trasferito qui a Cargeghe, ho fatto un mutuo di un miliardo e mezzo che terminerò di pagare quest'anno».  - Chi ti ha aiutato?  «La banca Cis, quei soldi mi sono serviti per andare avanti».  - Di quali anni parliamo?  «Eravamo alla fine degli anni Ottanta. C'erano una quarantina di concorrenti, tutti si riversavano qui in Sardegna».  - Come li contrastavi?  «Avevo un vantaggio: venivo dalla campagna. Il venditore continentale andava con la borsa e la cravatta, io ero quasi un pastore. L'impianto di mungitura dura una vita, non è come vendere un tavolo».  - In che senso?  «Ti chiamano per l'assistenza, sei sempre legato ai clienti. Nei primi anni, quando l'assistenza la facevo io, mi svegliavano nel cuore della notte. Alla fine del lavoro mi chiedevano: quanto ti devo dare? Rispondevo: niente, se mi dovessi pagare costerei caro. Poi quello stesso allevatore, magari, mi chiamava e mi diceva: vieni, c'è un mio vicino che vuole comprare il tuo impianto».  - Un ricordo particolare?  «Ti racconto un'emozione: a Ittireddu c'era una cooperativa di pastori e tutti i miei concorrenti erano andati lì prima di me. Non mi sono perso d'animo, ho parlato con il presidente e con tutti i soci, una cosa lunga: dovevano acquistare quaranta impianti ma praticamente avevano già concluso con gli altri».  - Come ne sei uscito?  «Con parole semplici: considerate anche me, sono della zona, l'impianto è valido. Portai un pastore a vedere una mungitrice che avevo montato altrove, alla fine gli altri mi dissero: ci riuniamo sabato sera per decidere. A mezzanotte mi chiamarono per darmi la lieta novella: acquistiamo da te, vieni sabato prossimo per fare i contratti».  - Un bel colpo...  «Quella sera mi sono commosso. In tutto, allora, un impianto di mungitura costava cinquanta milioni. Mi sono spaventato, molti mi avevano dato un anticipo: avevo duecento milioni in tasca».  - In vent'anni quante mungitrici hai prodotto?  «Mille e cinquecento impianti, tutti venduti. Ma stavo attento ai minimi particolari: acquistavo le materie prime tirando al massimo il prezzo ma ero puntualissimo nei pagamenti».  - Quindi?  «I fornitori mi aspettavano a braccia aperte. Mai avuto una causa con nessuno, quando c'era qualche problema chiudevo tutto in due minuti con il pastore. Andavo alle fiere, lavoravo quindici ore al giorno, facevo 150mila chilometri all'anno, cose spaventose».  - Come hai rimediato?  «Nel tempo mi sono organizzato con una struttura. Ma ho pagato un prezzo: quello di diradare i contatti con gli allevatori, per gli ultimi duecento impianti. È stato un inconveniente che tuttora mi dispiace. Molti dei primi clienti mi mandano i saluti, io ogni tanto li chiamo o invio loro qualche dono. Quando ho visto che il settore era quasi saturo ho dovuto fare altro».  - Che cosa?  «Ci siamo trasferiti a Cargeghe e abbiamo creato questa azienda di carpenterie metalliche, con strutture anche per gli allevatori, come i capannoni. Era un settore nuovo: per progettare ho dovuto capire. Ho razionalizzato le produzioni, stando attento agli acquisti. Però ho fatto anche un errore: qui ho acquistato dieci ettari di zona industriale, ma tutto è ancora fermo. Intanto mi son dedicato anche all'edilizia: ho costruito una serie di belle palazzine a Olmedo, 60 appartamenti che piano piano stiamo vendendo».
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