La Nuova Sardegna

Santa Giusta. L’azienda che produceva carbone fluido per energia aveva ricevuto fondi pubblici. Assolti gli altri due imputati

Condannato l'imprenditore lombardo Clivati

Enrico Carta
Lo stabilimento della Cwf Italia
Lo stabilimento della Cwf Italia

Il finanziamento da 785mila euro per lavori mai eseguiti alla Cwf gli costa tre anni e un mese

08 ottobre 2011
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 SANTA GIUSTA. Dici Clivati e immediatamente pensi a imprenditoria. Al tribunale di Oristano, il nome di Giovanni Francesco Clivati, capostipite della famiglia di origine lombarda da sempre in primo piano nell'industria della produzione di energia, è invece associato alla condanna a tre anni e un mese per malversazione arrivata ieri mattina al termine del processo legato alle sorti della CWf Italia, l'azienda che produceva carbon fluido nello stabilimento della zona industriale.  Com'è andata a finire la vicenda imprenditoriale, figlia dei tanti progetti - questo doveva produrre energia dal carbone fluido - senza esito della vecchia legge 488, è ormai fatto risaputo. La produzione non è mai partita e il capannone e l'area sono in stato di semiabbandono, sotto lo sguardo vigile dei custodi. Il primo grado della vicenda processuale iniziata anni addietro si è invece concluso con la sentenza che condanna il solo Giovanni Francesco Clivati (82 anni), vecchio amministratore delegato della Cwf Italia.  Per gli altri due imputati, il responsabile degli impianti Sandro Murgia e il procuratore speciale Tigellio Erdas, sono invece arrivate le assoluzioni. Del resto i ruoli all'interno dell'inchiesta e del successivo processo erano ben distinti.  Giovanni Francesco Clivati, come ha ricostruito il pubblico ministero Diana Lecca nella requisitoria, era sotto processo per aver ricevuto un finanziamento di 785mila euro a fondo perduto. Era la prima di tre tranche per un totale di due milioni e 357mila euro che dovevano servire all'azienda per dare sviluppo al piano industriale con l'ingrandimento e l'ammodernamento della banchina per l'impianto di trattamento dei reflui della produzione industriale.  I lavori non partirono e quei soldi svanirono nel nulla. Le altre due tranche del finanziamento invece non furono mai pagate perché la banca si rifiutò di versarle, visto che i lavori non procedevano. Era il 2005 e di lì a poco sarebbero cominciati gli accertamenti che in realtà non partirono dalle questioni finanziarie, ma ebbero il primo sviluppo su questioni di inquinamento ambientale. Era il reato per cui era finito sotto inchiesta il responsabile dell'impianto di produzione, Sandro Murgia, accusato di aver fatto trasportare, scaricare e smaltire in maniera illecita i resti della lavorazione del carbone.  Ad accusarlo, motivo per cui il pubblico ministero ha chiesto la condanna ad un anno, era un ex dipendente che aveva in corso anche un contenzioso con l'azienda. È stato uno dei motivi su cui ha più insistito l'avvocato difensore Rinaldo Saiu. Mentre la difesa di Giovanni Francesco Clivati, affidata a Francesco Angioni, è stata incentrata sul fatto che i lavori non potessero essere conclusi, perché l'inchiesta cominciò ben prima del termine ultimo stabilito. Non è bastato per evitare la condanna, decretata dal tribunale, presieduto da Modestino Villani (giudici a latere Francesco Mameli e Riccardo Ariu). I giudici hanno deciso che la pena di quattro anni richiesta dall'accusa fosse troppo alta. Quella definitiva è stata di tre anni e un mese con l'interdizione dai pubblici uffici per i prossimi tre anni.  Un'altra serie di reati, contestata ad entrambi gli imputati, è invece prescritta, motivo per cui è arrivata l'assoluzione.  Diversa la posizione di Tigellio Erdas che assunse il ruolo di procuratore speciale dopo che i reati vennero accertati. Non poteva avere quindi responsabilità nella vicenda e allora per lui è arrivata l'assoluzione. Il primo a chiederla era stato il pubblico ministero, trovando il consenso dell'avvocato difensore Robert Sanna e la pronuncia favorevole dei giudici.  In attesa di uno scontato, almeno da parte dell'unico condannato, ricorso in appello resta la sentenza di primo grado a segnare nuovamente una storia di mancato sviluppo del territorio e di contributi pubblici volati via, con il seguito di posti di lavoro e di speranze che, a dire il vero, sono stati riposti nel cassetto da tempo. Sono numerosissimi anche in Provincia in casi in cui la legge 488 ha funzionato al contrario: al posto dello sviluppo sono arrivate solo le illusioni.
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