La Nuova Sardegna

Gli emigrati sardi di oggi: una risorsa importante che l'isola deve valorizzare

Pier Giorgio Pinna
Un momento del congresso Fasi ad Abano Sopra, Tonino Mulas e Serafina Mascia
Un momento del congresso Fasi ad Abano Sopra, Tonino Mulas e Serafina Mascia

22 ottobre 2011
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ABANO TERME. Il volto della nuova emigrazione sarda ha la faccia di Pablo Loi, 30 anni, andato a studiare Scienze forestali a Firenze: «Noi dei circoli dobbiamo creare un ponte per valorizzare noi stessi, i nostri compagni e i prodotti dell'isola», dice all'avvio del 5º congresso nazionale Fasi. 

Ma l'emblema degli emigrati sulla penisola continua a essere soprattutto il presidente-veterano Tonino Mulas, dorgalese doc trapiantato a Milano, da quasi 10 anni ai vertici della Federazione delle associazioni. Che spiega: «I ragazzi devono prendere in mano il loro futuro nei circoli. La rete dei sardi, ai tempi della globalizzazione, è una risorsa: oggi dobbiamo concentrare l'attenzione sull'isola in un costante aggiornamento del nostro ruolo e nella ricerca di altre possibili sinergie. Abbiamo scelto di farlo nella lingua madre, a testimonianza dell'impegno di viverla al nostro interno». E infatti sin dall'inizio della manifestazione, dedicata a «su tempus benidore», non sono mancati gli interventi in limba. Tra l'esodo di ieri ai tempi del grande «disterru» e la fuga delle intelligenze e della manodopera qualificata di oggi, per la Fasi si aprono così sfide avvincenti. Con più spazi per le ultime generazioni. E per le donne: Mulas non si ripresenterà candidato e ad avere le maggiori chance per la presidenza è Serafina Mascia, del circolo padovano Eleonora d'Arborea.  I 320 delegati riuniti qui ad Abano rappresentano una settantina di circoli italiani. E tra loro sono proprio i giovani professionisti, figli di emigrati o emigrati a loro volta, a costituire una delle sorprese più gradite. «Abbiamo fatto in modo che almeno un quarto dei rappresentanti fossero ragazzi», ha spiegato ancora Mulas. E i giovani non si sono tirati indietro.

C'è chi, come Ilaria Onorato, della Maddalena, risiede a Roma con l'orgoglio delle antiche tradizioni familiari e parla dell'esigenza di creare «occasioni d'incontro fra gli studenti e i tecnici che lasciano l'isola e i sardi che risiedo in altre regioni da anni». C'è chi, come Francesco Pes, che vive a Ostia e frequenta l'università a Roma, pronto a rilanciare la battaglia «per l'autovalorizzazione dei prodotti e delle intelligenze sarde al di fuori dell'isola». Chi come Magalì è partita addirittura dall'Argentina per dare il suo contributo di affetto e di speranza. E chi, come Gianluca Podda a Bergamo, Giorgia Urru a Roma e Massimo Cossu ad Alessandria, vuole puntare su iniziative più moderne e al passo con i tempi per dare un impulso più stringente all'azione dei circoli verso questi e altri obiettivi.  Quello dei sardi nel resto d'Italia, una realtà formata da decine di migliaia di emigrati di vecchia e nuova generazione, è insomma un mondo un movimento.

«Anche nei rapporti con la politica regionale vogliamo restare al passo con i tempi», hanno rimarcato tante ragazze. A cominciare dal caro traghetti e dalla continuità territoriale. E non sarà così un caso se l'assessore Antonangelo Liori, incaricato dalla giunta di partecipare domenica alla giornata di chiusura dei lavori del congresso ad Abano, si è appellato fin da queste ore ai giovani ricordando che costituiscono «la continuità e il futuro nell'organizzazione degli emigrati».  Tema reso ancora più attuale da alcuni dati che devono far riflettere. Diecimila universitari che studiano al di fuori degli atenei di Sassari e Cagliari. Un flusso di addii forzati dall'isola che, dalla chiusura delle grandi fabbriche, è ripreso ininterrotto. Master che all'indomani della laurea raramente si concludono con un «back» definitivo in Sardegna.

«Non soltanto braccia che s'allontano dalla loro terra come in passato - è stato rimarcato durante il convegno - Adesso sono i cervelli che non riescono più a trovare opportunità di ricerca e lavoro nella propria regione: e, andandosene, la indeboliscono ancora di più».

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