La Nuova Sardegna

A Manca, la «copertura» dell'eversione

A Manca, la «copertura» dell'eversione

Chiuse le indagini della Direzione distrettuale antiterrorismo  sul movimento di A Manca pro s'indipendentzia. nel mirino dei giudici c'era una serie di attentati commessi tra il 2002 e il 2004

18 novembre 2011
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SASSARI. Non una generica «propaganda sovversiva», fatta di volantini e proclami, ma «atti di terrorismo - li chiama la magistratura - compiuti da una banda armata organizzata per sovvertire l'ordine costituito». È il profilo di "A Manca pro S'Indipendentzia" tracciato dalla Direzione distrettuale anti terrorismo.

Lo fa a distanza di cinque anni dagli arresti di molti dei suoi militanti, per la procura del capoluogo volto presentabile di Nuclei Proletari per il Comunismo e Organizzazione Indipendenista Rivolutzionaria. Sigle che hanno firmato gli attentati nell'ultima stagione delle bombe: da quella bomba inesplosa alla Prefettura di Nuoro, nel 2002, all'ordigno che salutava l'arrivo di Berlusconi e Blair a Porto Rotondo, il 17 agosto 2004. Il profilo oscuro di "A Manca", formazione politica nata attorno al circolo sassarese Moncada, emerge dall'atto di chiusura dell'inchiesta con 18 indagati notificato a Bruno Bellomonte nel carcere di Viterbo, dov'è recluso per il mancato attentato al G8 de La Maddalena. Un atto che gli indagati, dieci dei quali arrestati l'11 luglio 2006 e ora liberi, attendono da allora. Nelle 33 pagine si leggono le stesse accuse rivolte a suo tempo dal sostituto procuratore della Ddat, Paolo De Angelis: associazione sovversiva con finalità di terrorismo, per lanciare bombe (è la contestazione) o avvertimenti minatori a politici, magistrati, sindacalisti, giornalisti.

Aggravata non più e non solo dalla vasta produzione di scritti dai toni chiaramente antisistema, ma dalla effettiva commissione di attentati. Sono sei i nomi nuovi (vedi box) associati a queste accuse: Francesco Ferdinando Marmotta, ritenuto tra i fondatori dell'Oir e addetto alla ricerca dell'esposivo, nonché ruotante nell'orbita dei Carc (Comitati di appoggio alla residenza per il comunismo), Franca Dessena, presunta autrice dell'attentato al Comune di Arzachena (22 maggio 2003), custode di un volantino della sigla sconosciuta Nuclei proletari combattenti che poi sarà ricondotta agli autori dell'attentato all'allora deputato An, Bruno Murgia. E poi Marcello Gonario Delussu, capo fondatore - per l'accusa - che con il fratello Marco (tra gli indagati dal 2006) avrebbe curato sopralluoghi in vista degli attentati e fissato le strategie eversive; Giorgio Devias, «capo fondatore dell'organizzazione alla quale aderì dalla costituzione, nel 2002», per elaborare - si legge - i contenuti di manifesti per reclutare nuove leve. Mauro Mereu è individuato come affiliato agli Npc di cui avrebbe custodito un documento inedito, poi trovatogli dalla Digos, nel marzo 2006, «documento con il quale viene inaugurata la campagna di adesione e solidarietà - si legge nel capo d'imputazione - tra le diverse anime dell'eversione e dei movimenti clandestini della Sardegna, tra cui la costituenda organizzazione Nuclei Proletari Combattenti, che fanno capo a Ivano Ignazio Fadda», considerato fra i tre autori dell'ordigno a Murgia, del 22 marzo 2006.

Ma forse il più noto tra gli indagati è Angelo Marras, indicato dagli investigatori della Digos come «capo fondatore, con Salvatore Nurra, attivo già prima della rapina di Luras dell'8 febbraio 2001, considerata la genesi di tutto, perché una sorta di colpo di autofinanziamento (ma non c'è nessun legame con gli indagati). Restano sotto inchiesta l'ex ferroviere ora in cella Bruno Bellomonte, Massimiliano Nappi, considerato l'ideologo, Marco Alessandrini, Stefania Bonu, Salvatore Sechi, Salvatore Nurra, Marco Delussu, Alessandro Sconamila, Emanuela Sanna, Roberto Loi, Pierfranco Devias e Marco Peltz. Nelle carte, l'ex pm antiterrorismo sovrappone, dunque, gli indipendentisti di "A Manca" ai marxisti-leninisti di Oir ed Npc, considerati autori di 26 tra attentati dinamitardi e lettere con proiettili, portati a segno con sequenza impressionate: dalla notte del 26 settembre 2002, quando a Nuoro - a distanza di 5 ore e mezza - vengono scoperti ordigni inesplosi davanti all'Assoindustriali, in via Veneto, e alla Prefettura di via Tola.

Niente botto perché hanno micce difettose. Ma nelle stesse ore alle redazioni dei quotidiani sardi arrivano volantini di rivendicazione a firma Oir o Npc, con proclami e minacce ai giornalisti. È l'avvio di un clima di tensione che da Roma il ministro dell'Interno Beppe Pisanu sottolinea più volte, tanto da meritare poi l'appellativo di al «teorema Pisanu» da parte della galassia antagonista, che interpreta le inchieste come il tentativo di reprimere il dissenso. Ma la dinamite e la gelatina da cava abbondano, le minacce pure. Arrivano proiettili all'allora procuratore aggiunto della Ddat Mario Marchetti, alle sedi Cisl e Uil di Cagliari, all'ex presidente della Giunta regionale Italo Masala, l'ex governatore Mauro Pili, Giorgio La Spisa, al parlamentare Donato Piglionica (commissione Ambiente), al commissario governativo per i Rifiuti, generale Carlo Jean; al deputato di An Gianfranco Anedda, scoppia una bomba che distrugge la porta di casa del deputato Ignazio Manunza, mentre un'altra non deflagra e non danneggia quella di Mario Diana, all'epoca presidente della Provincia di Oristano.
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