La Nuova Sardegna

Cape d’Antibes, 11 settembre 1968: anche la Francia ha la sua Ustica

di Piero Mannironi
Cape d’Antibes, 11 settembre 1968: anche la Francia ha la sua Ustica

Un Caravelle dell’Air France partito da Ajaccio per Nizza scomparve in mare con 95 persone bordo I testimoni: «Colpito da un missile». Pressing su Hollande dei magistrati italiani e di quelli francesi

31 gennaio 2013
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di Piero Mannironi

Il muro di gomma che protegge il segreto di Ustica non è più un vergognoso bastione impenetrabile che respinge la legittima domanda di verità. È come se la malta che tiene insieme bugie, complicità, omissioni e depistaggi si stia lentamente sbriciolando, facendo intuire lo scenario di guerra nel quale, il 27 giugno del 1980, finì il Dc9 Itavia. Certo, davanti alla morte di 81 persone il silenzio è una colpa. E tutti coloro che sanno tacciono. Nonostante ormai sia del tutto evidente che quella sera di giugno di 33 anni fa sopra il Tirreno sfrecciassero Corsair americani, caccia inglesi, Mirage francesi, Mig Libici e F-104 italiani. A dirlo con chiarezza è il dossier che la Nato ha inviato alla magistratura italiana nel 2011. E l’altra certezza è che c’erano in volo anche due aerei-radar Awacs: uno a sud dell’Isola d’Elba e l’altro tra Cagliari e Tunisi. Insomma, era in corso un’imboscata internazionale probabilmente per uccidere Gheddafi che si credeva in volo sul suo Tupolev da Tripoli verso la Polonia.

Il mistero di Solenzara. Ma di chi è la responsabilità diretta dell’abbattimento del Dc9? C’è una pista, supportata da indizi importanti, che porta verso la Francia. Prima di tutto il fatto che la Nato non abbia voluto fornire l’identificazione di quattro caccia che volavano quella notte e non parli della base corsa di Solenzara. Ma, guarda caso, una registrazione radar di Poggio Ballone sopravissuta miracolosamente all’occultamento “fotografa” quattro caccia francesi che partono da Solenzara (ne rientreranno solo tre). E poi le dichiarazioni dell’ex presidente Cossiga che dice di aver saputo dal Sismi che il Dc9 Itavia era stato abbattuto dai francesi con un missile a risonanza.

La Francia ha sempre smentito un suo coinvolgimento nella strage di Ustica e ha addirittura dichiarato ufficialmente che l’attività aerea nella base di Solenzara si era conclusa alle 17. Fatto smentito clamorosamente dal generale dei carabinieri Bozzo, braccio destro di Dalla Chiesa, che era in vacanza proprio in Corsica.

Questi sospetti atroci hanno riaperto una ferita dolorosa per la Francia. Perché Parigi nasconde un altro segreto inconfessabile: nel 1968 ha avuto la sua Ustica, una tragedia finora blindata dal segreto militare e dal segreto di Stato.

Un Caravelle dell’Air France, il volo 1611 da Ajaccio a Nizza, scompare dai radar alle 10.32 dell’11 settembre 1968 a largo di Cape d’Antibes. Tra passeggeri ed equipaggio a bordo ci sono 95 persone, tra cui dieci bambini. Le ricerche del relitto e dei corpi appaiono fin dal principio stranamente lente. Tanto che solo nel 1971 sono recuperate alcune parti del velivolo. Nel luglio del 1970 il presidente della Commissione tecnica d’inchiesta scrive una lettera che sarà trovata dopo la sua morte dove allude al fatto di essere stato vittima di fortissime pressioni. Tra l’altro, si legge: «Comincio a prendere coscienza che il potere mi colpisce, e non ignoro le ragioni nascoste dietro questo affaire».

I dubbi dei tecnici. Si arriva a una versione ufficiale: l’aereo è precipitato in mare in seguito a un incendio sviluppatosi a bordo, probabilmente nella toillette a causa di una sigaretta non spenta. Sono prima di tutto i tecnici a dubitare di questa verità. L’aereo era stato infatti revisionato solo pochi giorni prima e tutto era a posto. Tra l’altro, la tesi dell’incendio non trova molta credibilità perché gli estintori dell’aereo recuperati sono tutti pieni e agganciati alle pareti del velivolo.

Si fa sempre più evidente l’invadenza dei militari che s’inseriscono nelle ricerche pur non avendone ruolo e competenza. Poi, ecco saltare fuori documenti palesemente falsificati. Altri documenti sono secretati dall’Armé e altri ancora spariscono misteriosamente.

Il “Grande Muto”. Nel 2007 i giornalisti Jean-Michel Verne e Max Clanet di Tf1 scrivono a proposito delle difficoltà incontrate dalla commissione d’inchiesta: «Da una parte c’è l'esercito, il Grande Muto, e dall’altra lo Stato che non vuole mettere in imbarazzo l'esercito». I parenti delle vittime del Caravelle non si rassegnano e si costituiscono in un’associazione dove i membri più combattivi sono i fratelli Mathieu e Luis Paoli. Resistono alla perfida strategia dell’inquinamento dei documenti e delle testimonianze. Perfino a minacce velate. La loro ostinazione alla fine produce i primi risultati: da frammenti di testimonianze non “sterilizzate” preventivamente e da una serie di piccoli indizi, prende forma un terribile sospetto. E cioè che il Caravelle dell’Air France sia stato abbattuto da un missile.

Perfino il ministro della Difesa di allora, Michel Debré, interviene per allontanare i sospetti dai militari. E lo fa in forma ufficiale, con un documento formale. «Quel giorno - si legge nella nota - non è stato effettuato alcun tiro di prova nella base dell'Isola di Levante». Impossibile smentirlo, impossibile provare il contrario: ogni attività della base è infatti coperta dal segreto militare per le attività nucleari francesi nel Mediterraneo. Cioè il massimo livello di segretezza previsto dalle leggi francesi.

L'inchiesta viene definitivamente chiusa nel 1973. Per anni così la storia del Caravelle dell'Air France sopravvive solo nella memoria dei familiari delle vittime e nelle cerimonie ufficiali che ricordano la tragedia.

I testimoni. Poi, dopo molti anni, qualcosa cambia. L'inchiesta giornalistica di Tf1 nel 2007 scuote l'opinione pubblica e riapre una ferita mai rimarginata. Ma soprattutto spuntano alcuni testimoni. Il primo è Etienne Bonnet, un ex magistrato che ha oggi 75 anni. L'11 settembre del 1968 era sulla costa, tra Juan-les-Pins e Golfe-Juan. Guardava con i binocoli le evoluzioni dei delfini in mare. «Quel giorno la visuale era perfetta - dice -. Ho visto l'aereo che scendeva lentamente verso Nizza quando, all'improvviso, ecco come una scia azzurra, velocissima, che ha colpito il reattore sinistro del Caravelle. E e ho visto subito le fiamme. L'aereo ha allora sbandato sulla destra ed ecco la prima esplosione. Vedevo palle di fuoco confondersi con le nuvole».

Stordito da questo spettacolo agghiacciante, Bonnet racconta di una seconda esplosione. Poi, vede l'aereo precipitare in mare. Nel 2007 racconta tutto al procuratore di Nizza e dice di non aver parlato prima per paura. «Mi avevano detto di tenere la bocca chiusa se non volevo passare guai enormi».

Il peso del rimorso. Poi c'è la testimonianza di Bernard Famchon, un militare. Racconta che nel 1970, quando era in servizio nel 40° Reggimento di artiglieria di Chalons-en-Champagne, aveva raccolto la confessione di un commilitone che, piangendo perché schiacciato dal senso di colpa, gli aveva raccontato che era nella batteria missilistica antiaerea dalla quale era partito per errore il missile che aveva abbattuto il Caravelle.

E ancora: Jean Machon, un altro militare, dice di aver visto al ministero dell'Aeronautica, un telex confidenziale nel quale si diceva che il Caravelle era stato colpito da un missile. Un altro militare che si trovava nella centrale radar della sorveglianza aerea racconta di aver sentito che il Caravelle «era stato buttato giù da un razzo terra-aria».

Per ultima, emerge dalle nebbie del passato una testimonianza che ha un effetto devastante nell'opinione pubblica francese. È quella di Michel Laty, ex segretario militare della prefettura marittima di Tolone. Nel maggio del 2011 compare davanti alle telecamere di Tf1, ormai segnato dal cancro che lo sta divorando, e dice di aver dattiloscritto il rapporto coperto dal segreto militare nel quale si dice che l'aereo dell'Air France era stato abbattuto per errore da un missile terra-aria dell'Armé. Laty, che muore pochi mesi dopo a 63 anni, scrive una lettera ai familiari delle vittime nella quale chiede scusa per il suo lungo silenzio.

L’omicidio dell’avvocato. Sulla base di questi elementi, i familiari delle vittime rinnovano la richiesta di riapertura dell'inchiesta aiutati dal più prestigioso avvocato corso, Antoine Sollacaro. Il penalista è un mastino e arriva al punto di denunciare il procuratore di Nizza per il suo atteggiamento che punta a far annegare l’iniziativa nella palude della prescrizione. Non basta: solleva un problema di legittimità costituzionale perché nell'ordinamento francese non è prevista la messa in accusa dello Stato per “omicidio morale”. La sua istanza di riapertura dell'inchiesta è accolta. Ma Antoine Sollacaro non potrà più sostenere i familiari delle vittime del Caravelle: è stato infatti ucciso ad Ajaccio il 15 ottobre scorso con sei colpi di pistola di grosso calibro. «Vittima collaterale di un sanguinoso regolamento di conti all'interno del grande banditismo corso» è la versione ufficiale dei giudici speciali di Marsiglia.

Resta da fare una considerazione finale. Se la magistratura italiana ora chiederà ad Hollande di aprire gli archivi segreti francesi per avere la chiave della strage di Ustica, deve sapere che Hollande dovrà prima farlo per la "sua" Ustica.

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