La Nuova Sardegna

Dopo la “Notte di San Bartolomeo” la pace regnò nell’isola

di Salvatore Tola
Dopo la “Notte di San Bartolomeo” la pace regnò nell’isola

Sabato in edicola con “La Nuova” il terzo volume di “Sardegna-Amori e battaglie”: Carabinieri contro banditi

01 febbraio 2013
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Una delle guerre più lunghe e . tormentate, tra le tante che si sono svolte in Sardegna, è quella che ha visto contrapposti banditi e latitanti a vario titolo (un vero e proprio popolo alla macchia, in certi periodi) alla forze dell’ordine. Episodi salienti sono disseminati nel corso dei secoli, ma è rimasta memorabile la «Notte di San Bartolomeo», tra il 14 e il 15 maggio 1899, quando vennero arrestate centinaia di persone: un poeta popolare spiegava che insieme ai fuorilegge erano stati catturati «amigos e parentes, babbos e mamas cun fizos e fizas».

Era vivace, in quegli anni, la discussione tra coloro che sostenevano le diverse teorie intorno alle cause del malessere, e proponevano i relativi rimedi. Due tra le più significative di queste tesi sono accostate nel terzo volume della collana della «Nuova» intitolata agli «amori» e alle «battaglie» (in vendita con il giornale a euro 5,90). Comparve per prima, nel 1896, la «Psicologia della Sardegna» di Paolo Orano, studente romano di origine sarda che, dopo un breve viaggio attraverso l’isola, raccontava impressioni e trinciava giudizi. Proprio nel 1899, l’anno detto anche della «caccia grossa», seguì «Undici mesi nella zona delinquente» del sassarese Egidio Castiglia che, inviato come funzionario dello Stato, aveva trascorso quasi un anno nel Nuorese, la regione più colpita dal fenomeno. La pagina di Orano ha un taglio più letterario, racconta le peregrinazioni attraverso l’isola e fa spazio nella parte finale a un’analisi del canto e del ballo praticati in varie località. Ci sono momenti di entusiasmo, ad esempio, nel descrivere le impressioni provate sul treno delle ferrovie secondarie da Cagliari a Tortolì, specie nel tratto alle falde del Gennargentu: «Il piccolo convoglio è spaventevolmente meraviglioso. Mai corsa ferroviaria fu così bella, ardita, mai si svegliò negli occhi e nel cuore del viaggiatore tanta voluttà del precipizio, dell’abisso, del frastuono». Ma poi subentrano le critiche per la scarsa comodità, e per le soste troppo lunghe che facevano perdere inutilmente il tempo a chi «pensa, scrive, studia». Il tono sprezzante non risparmia gli altri viaggiatori, tutti di condizione più modesta, e neppure i centri abitati.

Ales, ad esempio, «è un villaggio arido, nudo, triste, pieno di febbri, è uno sbadiglio di casupole in mezzo alle paludi». E, ampliando il discorso, le «otto città sarde secondarie messe insieme» non possono competere con la sola Viterbo. Il fatto sta che si riscontra nell’isola un «liquido d’ambiente» che dà luogo a uno stato di cose «duro e restio alle conquiste della civiltà sempre nuova».

Il giudizio è talmente negativo che l’autore non è convincente quando, alla fine, sostiene che il miglioramento dell’istruzione pubblica e un maggior impegno del clero potrebbero cambiare lo stato delle cose. Il discorso di Castiglia è più pacato, e sostenuto da documenti quali articoli di giornale e dati statistici. Egli non nega la gravità della situazione, perché il soggiorno nel territorio più difficile gli ha aperto gli occhi e gli ha fatto conoscere una lunga serie di danneggiamenti, prevaricazioni, omicidi.

Alla base del suo discorso sta tuttavia la convinzione che non si può parlare di una «zona delinquente non suscettibile di alcun progresso civile, e perciò incapace di evolversi»; bisogna dire piuttosto di una «malaugurata regione che, per speciali considerazioni storiche, di territorio, di miseria, di isolamento», ha attraversato un periodo di decadimento. È stata necessaria un’azione decisa, come quella della notte del maggio 1899, ma subito si sono visti i risultati: i buoni hanno ripreso coraggio, tanti sono passati dalla parte delle forze dell’ordine; e anche molti fuorilegge, saputo che i loro familiari erano finiti in prigione, si sono costituiti.

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