La Nuova Sardegna

Un sorriso antico e misterioso, a Bologna l’arte di Maria Lai

di Cristiana Collu
Un sorriso antico e misterioso, a Bologna l’arte di Maria Lai

La prefazione del catalogo di Cristiana Collu che ne curò la retrospettiva al Man

11 maggio 2013
5 MINUTI DI LETTURA





Le radici del mio vecchio
albero sono sane.
Così alla mia età spuntano
foglie verdi e fiori ancora
profumati.
È una primavera continua.

Alda Merini

Tradotta declinata vissuta. Se c'è una modalità femminile per essere artista, Maria Lai la incarna: termine usato non a caso, la sua arte è nella sua carne, è della sua stessa sostanza dal principio, dalla genetica che ha deciso il suo genere, e dalla sua visione del mondo che proietta lo sguardo intenso di chi coniuga e si coniuga costantemente con la meraviglia dell'origine, dell'archè, della natura, con la forza del gesto appena accennato, con ruvidezza solo apparente, con scarna e asciutta (im)precisione.

Se gli occhi guardano al cielo, ecco le costellazioni posarsi sulla trama e sull'ordito di una storia che ognuno di noi tesse con i fili intrecciati al mondo e che con l'ago e il filo della vita fissiamo in un disegno che rivela la nostra appartenenza all'infinito. Vento, sabbia e tacchi d'Ogliastra, profumi, carbone, padre, intuito, fiducia sconfinata nel cuore intatto e sicuro, caparbio della propria stessa fragilità, sempre sottratta e sempre all'erta, in ascolto, da porta- re altrove nell'isola che non c'è, non c'è stata, non ci sarà mai per chi ha sempre un porto da cui salpare e un orizzonte da raggiungere per il desiderio di scoprire.

La casa sempre dentro, dentro le opere che come frammenti alla deriva danno ospitalità a chiunque vi voglia abitare. Difficile andare d'accordo con la propria terra, le si chiede in qualche modo sempre quello che non può darci (come se non ci avesse già dato tutto) le si chiede di essere come non potrebbe essere e soprattutto di non giocare in controtempo. Chiediamo di essere accolti, compresi, custoditi ma anche riconosciuti e, seppure nel riserbo più stretto, ce lebrati a ogni ritorno.

Come fa una madre premurosa che applaude ai primi passi della sua creatura. Vogliamo tutto, pensando di aver fatto più del dovuto, più di quanto ci si aspettasse da noi, più di quanto noi stessi avessimo immaginato quando abbiamo raccolto, un giorno, il guanto di una sfida (non si sa quale) lanciato da non si sa chi. Tutto questo nella cornice di un legame e amore profondo, un amore di viscere che certo si lascia anche governare perché sa sempre quando, come e dove avere la meglio. Maria Lai, prima di ogni cosa una donna sapiente e caparbia fin da ragazzina, con gli occhi teneri e sicuri dentro quelli di suo padre, a cercare quel tasto che risuona e fa dire sì, che strappa il consenso e la complicità per spiccare il volo (letteralmente a nove anni dentro un aereo che la portò a Roma).

Non la duttilità di un padre arrendevole, ma una lucida intuizione intrisa di comprensione e desiderio di felicità, il più bel progetto di vita. E la vita ricomincia dunque altrove da casa, e farà casa in molti luoghi, senza nostalgia o struggi- mento, sempre presente in absentiam, sempre assente in presentiam. Un'oscillazione necessaria per bilanciare il suo stare al mondo, con quella modalità indovinata guardando da bambina le capre, audaci, intrepide con quegli occhi enigmatici e orizzontali, sempre libere di essere distratte dalla curiosità, giocose e vivaci, solitarie, diffidenti, accorte. Sono convinta che siano state loro a insegnarle a giocare senza smettere di crescere, mantenendo una freschezza innocente.

Come un gioco è il titolo di una mostra fatta insieme nel 2002, in quell'occasione la vidi per la prima volta. Il carisma delle persone prescinde dalla loro volontà di esercitarlo, quello di Maria risiede nel suo passo, nei movimenti e in quel sorriso antico e misterioso, nella sua figura minuta, garbata e aspra al tempo stesso, nelle sue mani ossute. Ma non la sa lunga per niente, tutto le si presenta come la prima volta, e in questo espone la fragilità originaria che ha tenuto stretta e che l'ha esposta alle vicissitudini della sua esistenza. Non ha mai pensato di combatterla o addomesticarla, ha preso in carico il rischio, a volte persino spavalda e sprezzante del pericolo di mostrarsi nella carne di un io indifeso, se stessa e basta, essenziale ma traboccante.

Avevo visto nella sua inclinazione per gli aspetti ludici e spensierati una modalità per sostenere il suo rapporto con il processo creativo tra conclusioni, licenze e derive. Come un gioco è stato il dispositivo attraverso il quale Maria Lai non ha dimenticato la spensieratezza dell'infanzia, non ha dimenticato quello stato d'animo ricolmo di pensieri e promesse di futuro; Come un gioco è stata la possibilità parallela concreta e attuabile, la condizione perché le cose siano potute accadere e compiersi, dove la fine esiste dall'inizio e vive anche di grazia, quel- la stessa grazia che Maria imprime in tutte le sue opere lasciandole sospese nella tensione del suo essere non solo faber e non solo ludens. Parlammo molto in quei giorni intensi e frenetici.

Mi confessò persino, con un certo candido pudore, di sapere che le sue mani avevano un dono e così come potevano plasmare la materia potevano generosamente trasferire la sua energia a beneficio di chi ne fosse esposto. Non ho mai avuto dubbi al riguardo. Abbiamo intessuto una mostra che ci sembrò bellissima e finalmente nel giorno stabilito lei sparì, usava non essere mai presente alle prime.

Poi più nulla. Nel 2010 una sua chiamata mi ha detto quello che già sapevo, ci si allontana senza distanza, con dentro un seme sempre pronto a germogliare. E così è stato, radici profonde per un tenero virgulto che presto si è trasformato in un ginepro straordinariamente profumato, nodoso e forte che continua a farci un'ombra che rinfranca e crea un luogo speciale dove le cose si ricompongono nel loro ritmo naturale e per un istante ne fai parte per sempre.

Come i più grandi ancora a parlare di progetti, di quello che si vuole e si deve fare domani, solamente a parlare della prossima opera. C'è qualcosa di urgente da dire, da aggiungere, con tanto coraggio, dentro un affresco già così fitto ma che può apparire tremendamente desolato.

Vieni, dunque, andiamo verso la luce di quella spiaggia dove da bambina ho fatto un sogno che poi si è avverato.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

La Sanità malata

Il buco nero dei medici di famiglia: in Sardegna ci sono 544 sedi vacanti

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative