La Nuova Sardegna

Quello “spettro” alla radio che sbeffeggiava il Duce

di Costantino Cossu
Quello “spettro” alla radio che sbeffeggiava il Duce

Un libro di Vindice Lecis racconta l’avventurosa storia di Luigi Polano

22 aprile 2014
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SASSARI. Mario Appelius era un giornalista di successo prima che nella sua vita entrasse “lo spettro”. Aveva girato mezzo mondo come inviato del mussoliniano “Popolo d’Italia”. Eiopia, Somalia, Congo, Giava, Borneo, Indocina, Cambogia, Laos, Tonkino, Patagonia, Cuba, Haiti, Guatemala, Nicaragua. Non c’è parte del mondo che Appelius non abbia visitato e descritto nei suoi reportage e nei suoi libri. Negli anni Trenta del Novecento, quelli di massimo consenso al fascismo, attraverso il racconto di un “altrove” sempre esotico e spesso favoloso (il diverso non com’era ma come agli italiani piaceva vederlo) Appelius diede il suo contributo alla creazione dell’immaginario di massa del fascismo. Tanta era la sua popolarità che, durante il conflitto contro le potenze alleate, il Duce in persona decise di affidare proprio a lui il commento serale alla radio – potente strumento di propaganda del regime – dei fatti politici e militari della giornata. Sulle onde dell’emittente di Stato, l’Eiar, Appelius invocava gli strali divini contro la “perfida Albione” (“Dio stramaledica gli inglesi”) e descriveva con patriottico entusiasmo l’avanzata delle truppe hitleriane e le vittorie italiane (non di rado inventate di sana pianta).

Ma la sera del 6 ottobre 1941 accadde qualcosa che mise in crisi gli ingranaggi ben oliati della propaganda. Mentre il buon Appelius se la tirava con le ultime dal fronte russo e raccontava di come l’esercito tedesco proseguisse la sua avanzata verso Mosca, dalla radio si diffuse una voce che non era quella del commentatore, ma di un’altra persona: «Italiani, qui parla la voce della verità. La voce dell’Italia libera. La voce dell’Italia antifascista». E poi giù, per tutta la trasmissione, a confutare, durante ogni pausa di Appelius, le affermazioni del giornalista: «Non è vero, sei un bugiardo, inganni il popolo italiano», tuonava la “voce della verità”.

Mussolini fece di tutto per capire da dove arrivava quell’interferenza inopportuna e pericolosa, ma non ci riuscì mai. Per tutta la durata della guerra, sino alla liberazione di Roma il 4 giugno del 1944, la “voce della verità” (o “lo spettro”, come il misterioso guastatore fu chiamato dallo stesso Appelius) continuò a invitare gli italiani alla rivolta contro il fascismo.

Chi era “lo spettro” ce lo svela ora il libro “La voce della verità”, scritto dal giornalista Vindice Lecis e appena pubblicato da Nutrimenti (230 pagine 16,00 euro). La bestia nera del Duce (“l’uomo che beffò Mussolini”, recita il sottotitolo del volume) era Luigi Polano, classe 1897, comunista di ferro che conobbe Lenin, agente impiegato dal Komintern in delicati incarichi in giro per l’Europa, uomo di fiducia, negli anni difficili a Mosca, del leader dei comunisti italiani Palmiro Togliatti. Le pagine scritte da Lecis raccontano, secondo una scelta che mescola in un felice equilibrio ricostruzione fantastica e meticolosissima documentazione, la straordinaria biografia di questo rivoluzionario di professione e, insieme, un pezzo di storia del Novecento.

Lasciata Sassari, la città in cui nacque, per andare a studiare a Roma dopo un. diploma in ragionieria, Polano divenne segretario della Federazione giovanile socialista nel 1917. Nel 1918 si schierò contro l’intervento dell’Italia in guerra e si fece diversi mesi di prigione. Nel 1921, al Congresso di Livorno, portò quasi tutta la Fgsi (il 90 per cento) sulle posizioni della frazione comunista del Psi, nella rottura che sancì la nascita del Pcd’I. Partito del quale Polano divenne uno dei militanti più fedeli, impegnato, durante il ventennio fascista, in missioni in Francia e nella Spagna della guerra civile, e poi in Unione sovietica a stretto contatto con Togliatti, trasferitosi a Mosca nel 1934.

E fu proprio Ercoli che decise che Polano doveva diventare “lo spettro”. Lo richiamò da Vladivostock, dove faceva attività di agitazione e di organizzazione tra i portuali, gli mise a disposizione apparecchiature di trasmissione radio potenti e sofisticate e con quelle lo fece salire su un aereo da guerra diretto a Užice, nella Serbia occidentale, un’enclave dove i partigiani di Tito resistevano strenuamente all’avanzata inesorabile dei blindati nazisti. Da una piccola stanza in un edificio della cittadina, con l’assistenza di Lenochka, una agente del Nkvd (la polizia segreta staliniana), e di Lavrentji, un tecnico esperto di radiofonia, Polano cominciò a far partire i segnali radio destinati a disturbare il programma di Appelius e a mandare su tutte le furie il Duce. La “voce della verità” trasmise ininterrottamente dal 6 ottobre 1941 sino al 5 giugno 1944, in una situazione precaria dovuta alle alterne vicende della guerra. «Di fronte all’avanzata nazista, da Užice – scrive Lecis – Luigi Polano e i suoi inseparabili angeli custodi erano fuggiti in Montenegro, poi avevano trovato rifugio a bordo di un cargo sovietico tra l’Adriatico e l’Egeo. Infine erano approdati a Novorossijsk», principale porto russo sul Mar Nero.

Il libro di Lecis restituisce il clima di un’epoca. Troverete in queste pagine la sala del trono dello zar, tutta ori e cristalli, che diventa la sede del secondo congresso della Terza internazionale, dove un Polano ventenne stringe la mano a Lenin e con lui discute delle sorti della rivoluzione proletaria in Italia; troverete i bistrò caotici e fumosi di Parigi dove i resistenti antifascisti si incontravano in clandestinità; troverete i corridoi e gli schedari polverosi dei commissariati e delle prefetture fasciste (non molto diversi da quelli di oggi); troverete i caffè di un’Italia smagata dove il consenso al regime mussoliniano era sempre sul punto di trasformarsi in sberleffo; troverete le stanzette con i bagni in comune dell’Hotel Lux a Mosca, dov’erano ospitati i comunistici che nella capitale sovietica arrivavano da tutte le parti d’Europa; troverete il ghigno raggelante delle guardie dell’Nkvd rivolto ai sospettati di deviazionismo durante gli interrogatori negli anni del terrore staliniano; troverete le vite private dei rivoluzionari di professione annullate in un impegno politico che non ammette né deroghe né tentennamenti. Troverete - e forse questo è ciò che rende più di ogni altra cosa utile questo libro - il senso della passione di uomini e donne che hanno creduto che si potesse costruire un mondo di libertà e di giustizia. Si può discutere di come sia andata a finire e del perché. Polano avrebbe avuto le sue risposte, che non possono più essere le nostre. Siccome però – come scrisse il liberaldemocratico Norberto Bobbio subito dopo la caduta del Muro di Berlino – le ragioni storiche che mossero le scelte di vita di persone come Polano sono ancora tutte in campo, sentire dal racconto di Lecis come quelle ragioni abbiano scaldato di passione il cuore e le menti di tanti esseri umani è un buon esercizio di memoria per chi voglia guardare al mondo contemporaneo, segnato da ingiustizie crescenti, con consapevolezza degli errori passati ma anche senza cedere alla rassegnazione.

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