La Nuova Sardegna

Musica e archeologia Sposalizio d’interesse

di Giacomo Mameli

Gli spettacoli valorizzano e rendono riconoscibili i siti

20 agosto 2014
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CHEREMULE. È ormai scontato che se prendete Paolo Fresu (e lo piazzate nel deserto dell'Antardide, in quello del Gobi tra Mongolia e Cina o a Rub'al Khali tra Arabia Qatar e Ymen) vi dimostrerà che è capace di popolare i deserti. Perché è un dio che suona ("pàpa moderno del jazz", ha detto Patrick Geoffry, designer cattolico di Miami). Perché sa catturare intelligenze e pubblici di tutti i tipi e di tutti e cinque i Continenti. Così è successo avant'ieri sotto il 40.mo parallelo di Cheremule dove - tra petroglifi e domus de janas - c'erano studentesse della Columbia University, agronomi australiani, rampolli e rampolle di manager russi e cinesi, Cecilia Suslery informatica della Silicon Valley con maglietta John Coltrane, tanti sardi giunti da Sulcis e Gallura. Assistere al concerto di Museddu - seduti anche su muretti a secco o sul fieno d'agosto - in un luogo con seimila anni di preistoria e storia, in una necropoli con petroglifi parlanti che raccontano misteri e odissee dei popoli non solo del Mediterraneo - è stato davvero esaltante. Ci ha pensato un sole splendente in un luogo circondato da 350 monumenti archeologici (non valorizzati). Sentire per novanta minuti la tromba del nuragico di Berchidda-Tucconi integrarsi e fondersi con il violino di Kheir Eddine M'Kachiche, ha confermato il linguaggio universale della musica, ha messo insieme - con i "piedi" della Sardegna sull'Africa - note nate in un paese del Logudoro e diventate internazionali così come le sonorità del violinista algerino autentico mago degli stili chaabi, andalusa e hawzi. Fresu suonava all'ombra di un fico. M'Kachiche protetto da un prugnolo e da un perastro. Tutt'attorno tutti a godersi un concerto appoggiati alle tombe di popoli navigatori e guerrieri. Carlo Mercadante, broker di Verona, con la figlia Laila hanno seguito le note jazz seduti ai bordi di alcune vasche per la vinificazione e si è chiesto: «Perché godo di tanta bellezza e non pago un euro?».

Forse è uno degli interrogativi più utili proposti dal concerto al Parco dei Petroglifi (dopo Fresu, con folla sempre numerosa, è stato il turno dei Bertas che col giornalista Pasquale Porcu hanno reso omaggio a Brian Wilson).

C'è da chiedersi perché la Sardegna (e l'Italia) del turismo non abbia capito quale valore aggiunto abbia una regione carica di preistoria, storia e talenti. Con Fresu fizzu del compianto Lillinu e Maria Mu possiamo esibire il pentalobato Nuraghe Orrubiu di Orroli, il mistero e l'imponenza di Santu Antine a Torralba, il torrione di Losa al centro della Carlo Felice, le necropoli di Monte Sirai nel Sulcis o il villaggio di Serra Orrios di Dorgali. O l'incanto del menhir di Goni nell'altopiano di Mutteddu.

Prima dei concerti di Fresu chi conosceva - eccezion fatta per le studiose che ne hanno descritto il valore - quel sacrario bianco? Tesori come questo danno ossigeno all'economia della Sardegna? Hanno creato professionalità per coniugare cultura e vacanze? Le tombe di Sant'Andrea Priu a Bonorva sono a calamita giusta davanti a tanta bellezza? Il no è a tuttodondo. Nelle poche località archeologiche godibili difficilmente si trovano professionalità direttamente proporzionali all'eccellenza del luoghi.

Barumini e Villanovaforru hanno provato a innescare la marcia giusta. Ma con difficoltà. E nel Meilogu? Presentando la serata il sindaco Salvatore Masia e il presidente dell'Associazione Boghes Giovanni Pala hanno invocato "sinergie". Ma gli altri sindaci dov'erano? Sinergia non è parola del dizionario sardo.

Da Carbonia a Olbia . Non si è capito cosa creerebbe l'integrazione arte-musica-gastronomia-artigianato. Ci vorranno altri seimila anni?

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